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Titolo: Ritratto di bibliopola

Autore: Giovanni Artieri

Data: 1932-11-09

Identificatore: 1932_480

Testo: ALBUM NAPOLETANO
Ritratto di bibliopola
Napoli, novembre
In piazza Castello ponteficava Casella il vecchio, morto di recente. La bottega di libri in cui il bibliopola sedeva dalla mattina al tramonto è passata alla letteratura. Ne parla Cerio in due o tre luoghi delle sue scritture, ne ha ricordato qualche scorcio Anatole France, in quella del Quai S. Augustin, ove Bergeret si fermava a leggere il solito paragrafo della solita storia delle esplorazioni geografiche. Si dirà che era la bottega di suo padre (ma un poco, aggiungo, anche il negozio di Casella, perchè gli scrittori compongono le loro fantasie a mosaico, con i tasselli della realtà).
* * *
Casella Francesco, figlio di Gaspare, padre di Gaspare, se ne stava tutto il dì dinanzi al banco, ingombro di ceralacche, di pacchi e di bilance; la fida lente accanto, il fascio delle schede innanzi, a terra il mucchio di libri che gli importava porre a catalogo. Era largo a dir poco un metro e mezzo, grosso nelle spalle potenti da reggerci tutte le scaffalature della bottega. In una storia dei Viaggi di Lapérouse, che m’accadde di aprire in sua presenza, incontro un Atlante ch’era Casella stesso, impegnato a reggere il mondo. Obeso e vecchio, scapellato e sbarbato, pareva si puntellasse alla gran palla, chiedendole dopo tanti miliardi di secoli un piccolo scambio di servigi. Feci vedere al vecchio questa caricatura: — Guardate, don Ciccio, come vi somiglia!
Lui sordo ad ogni suono lesse le parole descritte dalle labbra e rispose urlando: — Trecento lire, 1827.
Ricadde così sulle sue schede e di lui non si vide altro che un tondo cappello duro — una bomba a falde sulla gran testa radicata nell’immenso torso — e un lembo della lente d’ingrandimento con cui esplorava i deserti giallicci delle pagine antiche.
Dal panorama di scaffalature che si stendeva alle spalle di Casella il vecchio come le roccie nei fondi leonardeschi, nei giorni di pioggia si esalava un odore di sorci e di ceralacca. Il vecchio non temeva le correnti d’aria e se ne stava dinanzi all’algida soglia, inamovibile, ore e ore curvo sulla sua lente di entomologo. Aperto dinanzi a lui il riquadro in cui si profilava la porta dell’Arsenale, un bastione del Maschio Angioino e un pezzo di Darsena, dietro l’ambulacro a trapezio che sprofondava nella parete imbottita di libri, come una galleria di miniera.
Oltre quella soglia Casella il vecchio non permetteva di. andare altri che i suoi illustri amici, nel novero
dei quali non fummo perchè egli, e a ragione, non ci stimava pervenuti a fama sufficiente. Onde ci facemmo di quella barriera bibliopolica un termometro al nostro salire nella letteraria considerazione. Ahinoi, anni ed anni sono passati e Casella sempre e sempre ci inibì l’accesso. Si consideri a nostro scarico che i suoi amici si chiamavano Kipling, France, D’Annunzio, Edoardo d’Inghilterra e la Regina Vittoria.
— Che bbulite? (Che volete? ) — urlava... Urlava perchè era sordo, ma pareva uno strillo di guardia minacciata. I propositi d’invasione ricadevano, ed egli messa da canto la lente sorrideva.
* * *
Nella storia della bibliopolia di Casella il vecchio pesa moltissimo quest’episodio. Al tempo della « Révolte des anges » e di « Les dieux ont soif » Anatole France venne a Napoli. Madama Caillavet era morta da qualche tempo; ma il vecchio ironista aveva incontrata un’altra amorosa e attenta accompagnatrice, la signora Bölöni, dama assai più giovane della vecchia amministratrice del suo genio, e forse parimenti spiritosa. Insomma egli non trascorreva più le sue giornate a letto, meditando sulla convenienza filosofica del suicidio. S’era ridesta quella sua implacabile curiosità artistica che gli faceva passare ore ed ore nelle sale di scultura al Museo Nazionale, nel retrobottega di Casella.
Non si dice quali grandi feste tre generazioni di Casella, Gaspare maggiore e minore e Francesco il sordo, facessero allo scrittore, figlio di libraio. L’ultima volta — racconta la signora Bölöni — visto che France aveva settantanni e Gaspare nonno novantasei, e per lo meno due di quel quintetto di bibliofili se ne sarebbero andati a breve scadenza, il vecchione napolitano volle donare al vecchione parigino un segno del suo imminente commiato. Era una rarissima prima edizione della Commedia, un « unicum » di valore eccelso. Sulla soglia Casella nonno ferma France e gli dice: « Sono io che ho scoperto questa edizione, la più antica del nostro Divino. Per voi maestro France, a voi, il nostro Dante! Mio figlio non ci avrebbe badato, ostacolato dai suoi occhiali, nè mio nipote, a causa dei suoi occhi giovani e vivi... La giovinezza di oggi non sa guardare... La chiaroveggenza è una virtù trascorsa... Per vedere le cose, per scoprire le verità e i veri libri, tra i mucchi di libri che io accumulo, servono meglio i miei occhi i di 96 anni, senza lenti... ».
S’ingaggiò subito un nutrito tira e molla tra i due, il barbuto e il glabro, sul prezzo del libro, oscillante tra il valore nullo dell’omaggio e una cifra « d’affezione » fortissima. Non è il caso di scernere come nelle due parti stessero le cose.
Da quel giorno, intorno a quarantanni fa, Casella fece tesoro della lezione e nato debole d’orecchio, si affrettò a diventar sordo, non mise gran che a liberarsi della sua non acuta vista e raggiungere i confini di un magnifico presbitismo. S’affrettò anche ad invecchiare, perchè quel suo aspetto colossale e biancastro lasciava supporre aver egli fissato dimora nel soffietto d’uria macchina fotografica. Il suo era un pallore fantomatico come quello dei negativi appena usciti dal bagno di sviluppo. Abolito il suono, abolite le immagini. Casella il vecchio tirava a raggiungere al più presto la gloriosa età dei vini prelibati e delle edizioni rare. Passò quindi alla parola e non parlava quasi più. Parificati i criteri di valutazione d’uri libro — codice manuziano o testo di scuola media — alla rispettabile somma di soldi sei, fe' inventare a Carducci, che lo conosceva ed amava, la famosa barzelletta: « Se offri a Casella l’autografo della Divina Commedia non ne avrai più di due lire ». La verità è ch’egli amava sovrattutto comprare dei libri per descriverli. Nelle sue mani un volume campato dal macero diventava una rarità preziosa, un foglio rosicato e stinto assumeva l’importanza di un documento. A Sorrento France sgorbiò su d’una nota d’albergo certa casetta ombreggiata d’aranci, segnandovi una confessione: « Il fait trop chaud » e un saluto: « Je fais tous mes compliments a M. F. Casella ». Quella pagina entrò nel catalogo di Casella il vecchio e assunse subito un prezzo d’affezione notevole. Oggi vale a dir poco mille lire e non costa tanto sul mercato un autografo di Leonardo. Il catalogo di Casella monetava le carte vecchie, descritte come paesaggi in ogni piega, buco, sdrucitura, strappo, con arte allettante e sottile, capolavori di notiziari intorno ad oscurissimi ed insignificanti opere, spiritiche evocazioni di autori e libri defunti. Una delle sue glorie fu la scoperta della « Coda del Cacamusone epigrammatico » (ignorata polemica sull’Iride tra il Capua, l’Aulisio, il Cornelio, alla quale prese parte Giovan Battista Vico).
* * *
Famosissimi alterchi tra Anatole e la Caillavet avvennero per via di Casella, o meglio, pei suoi libri troppo rari e appetitosi. Come era Madama a pagare e France sceglieva e accumulava confortato dal libraio che non mancava di mettergli sott’occhio i « pezzi » di gran riguardo, questi mormorava timidissimo: « Che Madama non veda», e Casella, che da quell’orecchio ci sentiva benissimo, fingeva d’offrire in omaggio. Tuttavia non amava vendere. Tenne in sommo disprezzo l'editore, quello che dà lavoro alle tipografie e circolazione al libro.
— E’ commercio — urlava stridendo. Gli bastava ch’avessero stampato i torchi di quattro secoli da Gutenberg in poi, e trascritto gli amanuensi di millantanni. Lo scibile era passato tutto in quella produzione libresca; che poteva dar fuori di nuovo con la sua marca editoria? Ben nulla. Chissà se non era saggezza profonda questa.
* * *
Naturalmente gli scugnizzi del Molo lo conoscevano tutti, e così gli scaricatori e i tavoleggianti della vicina osteria « Ai due leoni ». Non osavano accostarsi alla libreria tenuti in rispetto dagli scaffali e dall'imponente sordità che vi regnava. Un crepuscolo di quaresima (era il giorno di S. Antonio Abate che a Napoli si celebrava con pubbliche fiammate di vecchi mobili gittati a precipizio dalle finestre), una tramontana secca faceva le mani e le labbra violette, e Casella tra lume e lustro ancora scriveva schede, imperturbabilmente.
Non so che idea venne ad uno, che bivaccava intorno ad una catasta incendiata, di impugnare un par di tizzoni ardenti e gittarli dinanzi al banco:
— Fa friddo, scarfateve (Fa freddo, scaldatevi) — urlò con quanta voce aveva in canna.
Ma il vecchio, al veder il fuoco nella sua bottega di carte, balzò in piedi terribile. Enorme, coperto d’un oceanico scialle a quadroni rossi, la glaciale lente da entomologo brandita, scaccia coi piedi la brace. Tremando tutto d’uno sdegno violento, all'altro — che, poveromo, impietrato dal freddo e dalla paura non sapeva che dire — scagliò in faccia con la sua voce di cardine male unto, come una sanguinosa e incancellabile offesa, questa tremenda parola: «Omar! ».
Giovanni Artieri.
Schizzo eseguito nel 1897 a Sorrento da Anatole France e donato al libraio Casella di Napoli con dedica e firma autografa.

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 09.11.32

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Citazione: Giovanni Artieri, “Ritratto di bibliopola,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 14 maggio 2024, https://www.dioramagdp.unito.it/items/show/736.