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Titolo: Giobbe dei nostri giorni

Autore: Lorenzo Gigli

Data: 1932-11-02

Identificatore: 1932_473

Testo: Giobbe dei nostri giorni
Prima della guerra viveva a Juchnow, in Volinia, un uomo di nome Mendel Singer. Era pio, religioso: uno dei soliti ebrei che s’incontrano ogni giorno, ed esercitava la semplice professione di maestro, facendo imparare nella propria casa, che si riduceva tutta a una spaziosa cucina, la Bibbia ai bambini. Insegnava cor. lodevole zelo, ma senza successi strepitosi: migliaia e migliaia prima di lui avevano vissuto e insegnato allo stesso modo. Un povero ebreo qualunque, col destino di Giobbe; un uomo semplice scelto per una grande prova. La quale, ricalcata sul libro biblico di Giobbe, fornisce argomento ad un romanzo d’oggi, scritto in tedesco da Joseph Roth, ebreo della Volinia anche lui, nato da padre austriaco e da madre russa, educato a Vienna, ora emigrato in Francia, rappresentante delle inquietudini e delia sorte nomade della sua razza: pubblicato a Berlino nel 1930, Giobbe è uscito adesso nella versione italiana di Giovanni Necco (ed. Treves Treccani Tumminelli, Milano) e conviene discorrerne perchè poche opere come questa sembrano riassumere con tanto tragico pathos, sotto un apparente distacco e una obiettività quasi cronistica, inquadrandoli nel clima storico e psicologico della guerra, del dopoguerra e della crisi, i motivi del millenario dissidio che isola la razza ebraica sulla terra e pur divisa in nuclei acclimatati nelle varie società nazionali e distribuita dentro i confini delle patrie altrui ne fa una gente a parte, un popolo senza pace, un gruppo etnico e religioso ben definito che non ha patria, anche se serve quelle sotto le cui bandiere è nato. Il conflitto 1914-18, mettendo i gruppi israelitici l’uno contro l’altro a seconda della Nazione d’origine, ha portato sul terreno della storia attuale il problema dell’internazionale ebraica che sembrò relegato per tutto l’Ottocento nel limbo teorico; e la rivoluzione russa e gli sconvolgimenti economici postbellici ne hanno messo a nudo le interferenze continue col problema del riassetto mondiale che, a tutt’oggi, a quattordici anni di distanza dall’armistizio, si ostina a non entrare nella fase risolutiva, sballottato com’è dai marosi dell’immoralismo e degli sparsi egoismi di cui la causa del disordine approfitta con tanta larghezza. Colore tragico e carattere epico, non della questione ebraica in sè, che per alcune Nazioni, prima l’Italia, non è e non sarà forse ancora per molti anni all’ordine del giorno; ma del mondo di questo primo trentennio del secolo, dove, se si son superate pregiudiziali etniche e storiche gravissime nei confronti della gente di colore, non si cancella il senso d’esilio e di dispersione che grava sopra Israele e nel quale molti son disposti a riconoscere la continuità d’una condanna che non è ancora caduta in prescrizione.
E’ appunto questo senso d’esilio che crea al Giobbe di Roth un’atmosfera inequivocabile. E badiamo che essa è legata assai più all'attualità che non lo sia al racconto biblico al quale s’ispira. Nella letteratura narrativa europea d’oggi sembra di moda riattaccarsi alla Bibbia. Due anni fa l’inglese Stella Benson, moglie d’un pastore metodista vissuto a lungo in Manciuria, riscontrando analogie singolarmente precise tra la situazione degli ebrei prigionieri del tempo di Tobia e quella degli odierni Russi bianchi profughi, ricalcava nel romanzo Tobia e l'Angelo, passo per passo, il racconto biblico applicandone i particolari alle avventure d’uria famiglia russa rifugiata in Manciuria e inserendovi, anche qui con schietta fedeltà al libro sacro, l’episodio accessorio d’una Giuditta moderna che taglia la testa ad un Oloferne bolscevico. Nel romanzo della Benson, un capolavoro nel suo genere, la vita d’oggi si ricalca esattamente sul testo antico, non dando mai l’impressione d’un abile esercizio letterario, d’un pastiche riuscito, ma rendendo il senso d’eterno ritorno che sta alla base delle vicende umane, e sfruttando abilmente il clima sovrannaturale delle grandi opere epiche dell’umanità: romanzo mitico e fatalistico che non si limita a trascrivere liricamente un testo sacro, ma lo rinnova con gli apporti d’una sensibilità squisitamente moderna e con note d’un umorismo naturale irresistibile. Il racconto biblico è trasferito dalla Benson su un piano comico che costituisce la originalità del romanzo e la sua giustificazione.
Nel caso del Roth, il libro di Giobbe è un punto di partenza ideale, è un richiamo e un monito. La sostanza religiosa e morale della storia biblica passa nel racconto delle miserande avventure di Mendel Singer a dare carattere universale alla vicenda di un « uomo semplice » nella quale il destino di Giobbe si ripete, non tanto nei suoi episodi particolari e nei suoi caratteri esterni, quanto nel suo significato etico ed umano, nella sua intima desolazione cui fa da sfondo il desolato panorama della vita d’oggi. Inoltre molti motivi accessori e decorativi del Roth come le determinanti delle passioni elementari de’ suoi personaggi hanno valori tipici documentari, si riferiscono ad ambienti popolari speciali, rendono quell’atmosfera a noi estranea nella quale l’Europa orientale ha costretto a vivere, in pittoreschi aggruppamenti, gli ebrei delle classi povere: interi villaggi della Russia, della Ucraina, della Polonia, della Romania, comunità miserabili dove trascina la sua esistenza un tipo d’ebreo ben diverso da quello ricco-borghese che ha trovato ospitalità e ottimo terreno di sfruttamento nell’Europa anglosassone e latina.
E’ appunto nell’ebreo miserabile del Roth che si conserva e si tramanda il senso d’esilio e di dispersione di cui parlavamo prima, il senso d’una inferiorità storica e morale che gli stessi ebrei accettano con rassegnazione quasi fatalistica interrotta da periodiche esplosioni di speranza in una riscossa sotto gli stendardi d’un nuovo Messia: di codesto stato d’animo molti mistificatori han saputo approfittare, e i casi clamorosi non sono mancati nei secoli, uno dei quali ha ispirato a Simone Poliakov un racconto corale su sfondi d’antica epopea. L’eroe del Roth non aspetta nessuna riscossa, è colpito senza pietà dal Signore e la sua ribellione è violenta assai più a parole che a fatti; un giorno il Signore torna a visitarlo e lo compensa delle passate sciagure e gli restituisce bello e glorioso un figliolo ch'egli aveva abbandonato deforme. Dopo il peso della felicità e la grandezza, dei prodigi Mendel finalmente riposa. Fuori vegliano il suo sonno pacificato le luci di Nuova York: perchè Mendel oggi non è più un povero ebreo della Volinia, ma è un ebreo americano, e la guerra ha disperso i cosacchi dello Zar che insidiavano la virtù della sua figlia Miriam, la quale, salvata suo malgrado dall’abbiezione, è una ragazza moderna, uguale a quelle migliaia di ragazze che ogni sera gli uffici dei grattacieli della Quinta Avenue rovesciano sui marciapiedi. America d’oggi, affanno della vita d’oggi, dinamismo e volontà di conquista: il povero maestrucolo della Volinia è un elettore di Hoover e guarda con occhi colmi di gratitudine la fiaccola accesa nel pugno della Libertà; menzogna convenzionale, che l’uomo semplice accetta e nella quale risolve per conto suo la crisi dell’umanità ansiosa di liberazione dopo la prova della guerra, e insieme la millenaria aspettazione messianica del popolo al quale egli appartiene. La atmosfera del romanzo è cupa, spesso con note potenti; il dolore umano vi è rappresentato in un personaggio semplice nel quale tuttavia son frequenti i presentimenti e i brividi dell’eterno, che la novecentesca inquietudine e l’esperienza introspettiva del Roth innestano sul tronco biblico e fondono con gli elementi autoctoni, con le tradizioni e coi riti rappresentanti nel romanzo il mondo d’Israele e il suo dramma.
Lorenzo Gigli.
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Francesco Chiesa dinanzi alla casa paterna (Sagno, Canton Ticino).

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 02.11.32

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Citazione: Lorenzo Gigli, “Giobbe dei nostri giorni,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 14 maggio 2024, https://www.dioramagdp.unito.it/items/show/729.