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Titolo: Parodie - Mea culpa

Autore: Annie Vivanti

Data: 1932-09-14

Identificatore: 1932_407

Testo: Parodie - Mea culpa
La giovane donna bionda come le vergini delle saghe norvegesi s'affacciò al limite del deserto nell'ora in cui la voce del beduino cantava:
Sei dolce come il dattero maturo il tuo alito è come il cocco, fresco, ove tu passi il vento congiunge le palme innamorato di te.
Un camello inginocchiato pregava nella sera con la gobba rivolta ad oriente.
La fanciulla guardò le Piramidi incendiate dal crepuscolo e pensò che tra poco la notte, con la pompa turchina delle sue tenebre, avrebbe spento il fiammeggiante prodigio.
Ma i suoi polsi non tremarono.
Era stanca della pallida Europa tiranneggiata da tanti Verboten, da troppi Five o’ clock, da innumerevoli S'il vous plait, da infiniti Ja vas lubliù. Sentirsi libera di spogliarsi dei millenari pregiudizi d'una civiltà convenzionale, poter fare il passo più lungo della gamba saltando le piccole dune di sabbia con l’agilità della locusta egiziana! Questo era il desiderio di Seima Frithiof, la figlia dell’aurora boreale e del primo cacciatore di renne dell’ultimo re di Norvegia.
Che le importava di quello che avrebbe detto di lei la table d'hôte del Ghezirch Palace che disprezzava la gente di colore fino a nutrirsi esclusivamente di pesce in bianco?
Mac Pinen le aveva scritto dalla Scozia nevosa: « Presto vi raggiungerò. Lasciatemi il tempo di cambiare il gonnellino degli highlanders con il casco coloniale. Ci sposeremo. Vi parlerò tra le mie braccia nell’alta valle del Nilo, adorandovi. Good bye ».
Ma Selma trovava puerile tutta questa poesia nordica. Amava El Burik senza averlo mai visto. Lo amava come l’ignoto che affascina e sgomenta, perchè Ibrahim, il cantastorie arabo del Suk, diceva di lui così: Quando El Burik sale sul cavallo è più alto di quando cammina a piedi. I suoi occhi riposano al riparo delle ciglia lunghe come le ombre dei minareti al tramonto. La sua parola è miele. Il suo pensiero è una scimitarra che taglia corto. Salute a El Burik!
La fanciulla sedette olire il limite del deserto. La polvere gialla scottava.
La luna cominciò a salire nel cielo come un enorme bottone di madreperla attaccato da un invisibile dio, con lunghi fili d’argento, al firmamento del Sud.
Selma era ormai una donna quasi perduta nel vortice di un amore che aveva un nome oscuro e terribile: Fatalità.
II.
Cercava di resistere alla tentazione moresca. Prendeva il bagno tre volte al giorno nel lussuoso appartamento del Ghezirch Palace. Ma il suo corpo di valkiria era arabescato da strani desideri.
Udiva salire dal fondo della coscienza scandinava la voce patema che la richiamava al latte di renna dei mattini iperborei. Sentiva il richiamo di sua madre venire dai fiordi primaverili per deporle sui biondi capelli un Vergissmeinnicht.
Le attraversava la memoria il nostalgico Tipperary it’s a long way del suo fidanzato che da Glasgow sembrava marciasse versò di lei con passo scozzese, a sciabola sguainata.
Morire! Si, morire pur di non tradire la razza eburnea degli avi, la Mattinata di Leoncavallo e la casta innocenza del premio Nobel.
Sfogliarsi come una rosa bianca sul petto di Mac Pinen e trionfare del Destino che voleva imporle un paio di lenti affumicate perchè le sue pupille vedessero nero nell’Amore e nel Dolore. Ma il clima ardente del Cairo dissolveva ogni volontà e le labbra tumide e rosse di El Burik si disegnavano sullo sfondo dell’ineluttabile.
Allah il Allah!
Un solo bacio.
Poi svanire per sempre come il vapore del narghileh misto alla polvere del Keef.
III.
L’arabo e la fanciulla boreale si incontrarono ai piedi della Sfinge nel nono mese dell’anno 1348 dell’Egira mussulmana. Le stelle erano grandi più dei diamanti del tesoro di Golconda. La notte egiziana odorava d'ambra e di gelsomino come se il paradiso delle Uri fosse disceso in terra per trasformare il deserto in un harem. El Burik e Selma si guardarono cosi profondamente negli occhi da trapassarsi l'anima da parte a parte.
Le labbra si avvicinarono con avida e inesorabile lentezza.
Ma il bacio non fu lungo come quello delle api dorate quando suggono il miele dalle rose doppie del giardino di Sadi Pascià.
La fanciulla senti in quel bacio il sapore troppo dolce del lukum. Si divincolò in fretta dalle braccia dell'arabo in barracano. Fuggi, senza voltarsi, scavalcando le dune. Finchè cadde.
E fu tra le braccia robuste del biondo fidanzato di Glasgow.
Pianse.
Le sue lacrime furono simili alla rugiada del pentimento e dell'oblio.
IV.
Le nozze avvennero di li a pochi giorni. Selma era guarita quantunque nei dormiveglia antelucani le acacie della veranda pareva mormorassero, agitate dal khamàsin: « El Burik! El Burik! ».
Mac Pinen nel buio del suo sonno fiducioso era all'oscuro di tutto.
Dopo nove mesi Selma regalò al marito un palo di gemelli.
Il capitano felice del dono che suggellava il loro amore, pose i gemelli ai polsi della sua chiara camicia di seta scozzese.
Li contemplava pensando: Ecco i miei cari gioielli d’oro biondissimo. Come mi ricordano il sole delicato della vecchia Inghilterra!
Old England pura e sincera, I love you. For ever!
V.
Passarono due settimane. La primavera umida salì dal Nilo e l’oro dei gemelli si ossidò lentamente. Prese una tinta bruna.
Mac Pinen si strappò dai polsi il pegno di un amore che si rivelava falso, che assumeva il colore dell'Inganno e del Tradimento. Lo gettò sotto gli occhi ceruli di Selma. Attese una spiegazione.
La donna guardò sgomenta intorno a sè. Gli sembrò di precipitare in un abisso nero.
Mormorò: Similoro! Similoro!
Finalmente comprese. Il bacio di El Burik. La punizione di un momento d'oblio. La macchia indelebile del peccato moresco.
Rialzò la testa. Vide soltanto il braccio teso del marito che le indicava il deserto.
Raccolse i gemelli, se li strinse al cuore e vacillando si allontanò nella sabbiosa immensità mentre la voce del beduino cantava:
Sei dolce come il dattero maturo, il tuo alito è come il cocco, fresco, e dietro la tenda fluttuante del nomade c'è la finestra della felicità.
ANNIE VIVANTI e per copia conforme:
Luciano Folgore.

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 14.09.32

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Citazione: Annie Vivanti, “Parodie - Mea culpa,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 15 maggio 2024, https://www.dioramagdp.unito.it/items/show/663.