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Titolo: Mal di denti

Autore: Cesare Zavattini

Data: 1932-01-27

Identificatore: 1932_140

Testo: Mal di denti
Non m’importa soffrire, veramente, rotolarmi per terra, rompere la bocca con queste mani secche, ficcare un ago sottile sottile sottile nelle gengive. Non m’importa, ci vuol altro per me. Ma io vorrei sapere, a ogni costo, quando è cominciato questo ignobile male.
*
Fermo davanti allo specchio, guardo il viso sfatto: sono vecchio, sono vecchio. Mia moglie dorme nascosta tra le coltri. Sono solo al mondo, ecco i figli nei piccoli letti, bianchi e quieti, tanto lontani da me.
« Ahhh » grido.
Essa si sveglia: « Prendi un altro cachet... ». La guardo torvo. Sospira, reclina lentamente il capo, si riaddormenta.
Ipocrita.
Odo oltre la parete il russare del mio vicino Pop. Anche Pop mi ha detto due ore fa: « Un cachet, caro amico ».
Un giorno Pop si accartoccerà come una foglia, e basta. « Un cachet, un cachet », gli dirò.
*
Scoccano le due. Mi sono rannicchiato in Un angolo della cucina, ansimo, mi lamento pianissimo.
La donna di servizio nel suo stanzino ha accesa la luce.
Si alzerà?
E' con noi da pochi giorni; non avevamo mai avuta la donna di servizio. « Il signore... la signora... ». Le prime volte io e mia moglie ci siamo guardati ridendo, di nascosto.
Tossisco perché mi oda. Niente, spegne la luce. Deve essere contenta che io soffra atrocemente. « Io — certo dice — mi alzò alle cinque, pulisco le scarpe, bagno col sudore i pavimenti, e lei patisca... ». Ha ragione, mangerà a tavola con noi, la tratteremo meglio.
Ma un pochino, appena un pochino, perché non diminuisce questo dolore? Non posso resistere più di un quarto d’ora. Se passerà entro un quarto d’ora, domani compero il dolce per tutti e un grembiule per la donna, lo giuro.
« Lo giuro » ripeto ad alta voce.
Chiudo gli occhi, aspetto. Mi torco le mani, per restare fermo lì sul divano.
« Conto sino al mille — dico. — Al mille sarò liberato, devo essere liberato ».
Passeggio su e giù per la camera contando:... centodue, centotré, centoquattro...
A un tratto m’accorgo d’essermi interrotto; è stato il passo di un inquilino a distrarmi. Ora sta aprendo il suo uscio, fischietta. Vorrei affacciarmi e dirgli: « Anche lei, come Pop, morirà, presto o tardi ».
Riprendo a contare dall’ottocento. Ho calcolato che senza l’intervallo sarei giunto a tale cifra.
« Ottocentoquarantotto, ottocento quarantanove, .. novecentonovanta... novantasei... novantasette novantotto, novantanove, ..
Resto immobile un momento, in agguato, poi alzo le braccia al cielo, stringo i pugni, poi batto i pugni sul tavolo gridando:
«Mille, mille, mille, mille, mille... ».
Abbattuto sulla sedia, mugolo, sbuffo.
Mia moglie e la donna di servizio si sono alzate.
« Esco... ».
« Ma... ».
« Esco... ».
*
Col cappello calato sugli occhi, il bavero rialzato e le mani affondate nelle tasche, cammino per le strade silenziose. Cammino curvo, in fretta. Sono lungo il sentiero di una foresta squassata dai venti. Un uomo cam mina tra le folgori e i tuoni, sulla crosta della terra, col mal di denti. Sono un simbolo, fuggevolmente me ne compiaccio. Se lo dicessi a quel Signore che si è voltato a guardarmi, mi prenderebbe per un pazzo. Eppure è così. In una metropoli, un milione d’abitanti, non ci sono che io con questo acuto dolore, curvo lungo le strade fredde.
Ogni tanto incontro qualcuno. Nottambuli che rincasano. Anch'io sono un nottambulo che rincasa. Ardo dalla voglia di dire a qualcuno: « Signore, io ho un terribile, uh angoscioso, un insopportabile mal di denti da cinque ore ».
*
Guardo una fila di taxi fermi. I conducenti raccolti sotto un lampione discorrono aspettando un cliente. Un cliente fra un’ora, fra due ore, giungerà. Forse s’incammina già alla volta di questo posteggio. Starò qui fino al momento che giungerà, per dirgli: « Io sapevo che lei sarebbe venuto qui. Era scritto che lei doveva giungere qui ». E gli farò una sghignazzata sul volto. Forse è a poche decine di metri, quell’ombra nera che si avanza, forse sono io. Io no. Perché io no? Sì, sono io, con questo inesorabile, acuto mal di denti.
*
Quando scendo dal taxi, in piazza, gli occhi cadono sul lume rosso della farmacia notturna. Un batuffolo di bambagia imbevuto di creosoto, pochi soldi. Non è possibile con pochi soldi far cessare un dolore tanto grande. Esso è nelle mani del destino. Finirà fra un momento, fra un anno, mai.
*
Rincaso a piedi. Passo davanti al caffè dove ieri ridevo con gli amici, passo davanti a! mio ufficio. Fra quattro ore sarò seduto davanti al solito tavolo. Dirò ai colleghi: « Ho passato una notte spaventosa... ». Ricordo che quando il collega Spitt mi diceva: « Ho passato una notte spaventosa », non me ne importava niente. Spitt morì l'anno scorso, gli facemmo la corona, andammo ai funerali.
No, domattina non dirò che ho passato una notte spaventosa.
*
In casa tutti dormono. E’ l’alba, guardo attraverso i vetri un comignolo che fuma. Mi accarezzo la guancia calda: « Caro, bambino ». Le labbra tremano, piangerei quasi. Anch’io vorrei essere in un piccolo Ietto, bianco e quieto... Invece, sono papà, sono un padre, un padre con un terribile mal di denti.
*
Mi sono appisolato sul tavolo senza accorgermene. Dopo mezz’ora la sveglia nello stanzino della donna di servizio mi desta. La camera è bianca di luce, un bianco da corsia.
Non ho più il male di denti?
Vorrei cantare, ballare, ma temo che torni. Resto così qualche minuto. Poi m’alzo, entro nella camera da letto in punta di piedi.
Mia moglie è sveglia.
« Stai meglio? ».
« No... ».
Il fresco delle coltri m’inebria: sono un fiore portato da un ruscello. Tra pochi secondi dormirò. Morire, la felicità.
Mia moglie è scesa dal letto, sta accomodandomi le coperte. Mi sfiora con la bocca la fronte, mi domanda: «Ti duole ancora?... ». Ho appena la forza di rispondere: « Sì! ».
Cesare Zavattini.

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 27.01.32

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Citazione: Cesare Zavattini, “Mal di denti,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 15 maggio 2024, https://www.dioramagdp.unito.it/items/show/396.