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Titolo: Retroscena di Bagutta

Autore: I giudici di Bagutta

Data: 1932-01-27

Identificatore: 1932_141

Testo: Retroscena di Bagutta
Venerdì scorso, mezz’ora dopo l’assegnazione del premio Bagutta a Giovanni Titta Rosa, un signore entrava nella libreria Osimo in Galleria Vittorio Emanuele (a Milano librerie e caffè stanno aperti tutta la notte) e chiedeva con urgenza una copia delle Dita Rosee.
— Le Dita Rosee?
— Sì, Le Dita Rosee, il libro che hanno premiato adesso in Bagutta.
Questo fatto sta a significare due cose: che non sempre l’ignoranza delle cose letterarie porta con sè il dispregio delle medesime; e in secondo luogo e conseguentemente l’utilità dei premi letterari che danno luce e rilievo ad un nome che il pubblico ha finora trascurato o ad un libro che — per essere passato inosservato nel breve tempo della sua esposizione in vetrina, — è caduto dopo in dimenticanza.
(A questo proposito, e fra parentesi, è lecito ai giudici di Bagutta dare un consiglio agli editori e ai librai? In Italia succede questo: esce un libro, sta due o tre giorni in vetrina con la fascetta « novità », e poi scompare. Se una recensione togata lo addita al pubblico, il libro rifa una timida apparizione, ma poi l'ultima copia — nella migliore delle ipotesi — è tolta dalla vetrina per essere venduta all'ultimo richiedente; e se — ma non sempre — arriva un rifornimento, questo alla vetrina non arriva più. Libro scomparso dalla vetrina è libro morto nel novanta per cento dei casi. Ora, perchè non organizzano, librai ed editori, un turno per cui vengano ripresentati nelle vetrine ogni tanto libri di sei mesi prima, di un anno prima, di due tre cinque anni prima? Molti hanno conservato una insospettata capacità di vita, anche se hanno dieci anni sulle spalle, e sono seppelliti nella memoria del pubblico).
* * *
E’ stato già detto che Bagutta apre le braccia a chiunque abbia dieci lire in tasca per far colazione nella storica trattoria. Vi sono altre stanzette, ed un giardino, voglio dire un cortile angusto con un vaso di canne in un cantone; ma nella saletta decorata dai vari pittori e scrittori che vi bazzicano chiunque può entrare, e se c’è un posto a una delle tre tavole, sedersi. Nessuno gli domanda chi è nè che vuole; tutt’al più alla fine si vede mettere sotto al naso un gigantesco salvadanaio, con l’invito di mettere dentro qualcosa, quello che vuole — gli altri non guardano per discrezione — pro premio. E’ così che alla rottura solenne dei salvadanai si trovano ogni anno forchette, bottoni, biglietti da cento miliardi di marchi tedeschi, e biglietti da visita con « grazie tante ».
Vi troneggia ogni mattina Bacchelli, nell’angolo che è suo per destinazione; entra furtivo, coglie limoni dalla tavola, e va in un canto a consumare una colazione simbolica il vegetariano ed astemio Ramperti; ma i conservatori delle tradizioni sono il pittore Vellani-Marchi, che vi fa la cura di Mitridate dà sei anni; e il cameriere bibliofilo Ugo, noto come la betònica (a proposito, chi ci sa dire còme è fatta l’erba betònica? Noi non la sapremmo riconoscere). Fa la Spola fra Bagutta e Codogno Giuseppe Novello, il traffichino, il factotum, il cantore, l’alpino (astemio) Ma la grande massa sono poi sempre certi signori noti solo perchè hanno fatto le guerre d’Africa, o dànno del tu a d’Annunzio, o avevano quella bella amorosa, o inalberano un bel naso rosso; ed a quel naso rosso debbono celebrità e diritti, perchè è stato effigiato da uno dei pittori di casa ed orna per l’eternità la pinacoteca baguttiana.
Costoro; e un numero oscillante di artisti, di gente di teatro e di banca, di aviatori, di alpinisti, di chiromanti, di signorine, formano il coro che fa coro davvero alle cantate, applaude le decisioni, crìtica le scelte, si divide la sera del gran premio in tanti partiti quanti sono i giudici, dà vita e tumulto ai banchetti in onore dello scrittore che ha pubblicato un bel libro, del direttore del celebre giornale, del musicista arrivato alla Scala (il che è considerato buon inizio di carriera; ma avrà un banchettone quando ne uscirà). Bagutta non ha fisime letterarie, pure essendo litteratissima; ha festeggiato il capitano Sora e Chiarelli, Tò fano e l’atlantico spagnolo Franco.
***
Il coro restò sbalorditissimo, l’altra sera, del premio assegnato a Titta Rosa. Tutti s’aspettavano altri nomi; colui che ebbe la buona idea di mettersi a fare l’allibratore, e dava Tecchi a tre e Stuparich a mezzo e Zavattini a uno, intascò tutto (ma versò il venti per cento alla cassa del premio). Il bello è che i giudici stessi all’inizio della discussione non pensavano a Titta Rosa; il suo libro, uscito ai primi dell’annata, era stato sopraffatto nella memoria da quelli dei furboni che li fanno uscire fra Natale e Capodanno. Titta Rosa saltò fuori dall’attrito della discussione come la scintilla dai legni confricati; sia detto senza allusione ai giudici sottoscritti nè ai candidati bocciati. Siccome il Titta era a mezzo metro da Bacchelli, a capo della tavola della stampa, e tendeva gli orecchi con molto impegno. professionale, si cercò un nome fittizio per definirlo. E fu chiamato il Cioni; dal nome del protagonista di un aneddoto piuttosto indecente che Bacchelli bolognese ama raccontare anche a chi lo ha sentito da lui decine di volte.
— Il Cioni. Benissimo. Ed ora concioniamo — disse il Bacchelli.
Ma non si concionò per nulla; si borbottava fitto fitto con misteriosi gesti, facendo circolare pezzettini di carta con mimica feroce.
Quando Titta Rosa udì sonare il suo nome, e scattò su rosso, incredulo, lacrimoso, la sua commozione fu il più bel premio dei giudici e del coro dei baguttiani.
***
Eppure questa assegnazione, di cui nessuno sapeva, nemmeno i giudici, nemmeno il cameriere Ugo, nemmeno il premiato, ci fu uno che la previde con assoluta certezza; e venne a Bagutta proprio per quello. Il pittore Cascella, abruzzese come Titta Rosa, Cascella uscì di casa dicendo alla moglie: « Vado in Bagutta a vedere dare il premio a Titta ». Che telepatia! Molti gii chiedevano i numeri del lotto; ma Bacchelli no, lui giuocherà quelli dell’assegno, 818587.
Tra i baguttiani volanti c’era l’altra sera un antiquario bolognese, che era venuto a prender soldi a Milano. Lo avevano caricato di cambiali, ma di contanti, nemmeno una palanca. Capitò alla trattoria per cenare, e farsi dare da un amico cento lire per l’albergo. Assegnato il premio a Titta Rosa, coronato Vellani Marchi della gigantesca tiara del premio Avignone, Vergani cominciò a mettere all’asta pregevoli libri, per impinguare la sempre famelica cassa del premio. Il nostro bolognese, preso dal calore della radunata, balza nell’arringo; fa rapidamente i conti, 50 lire, albergo, 5 mancie, 5 incerti, restano quaranta lire che offre per un esemplare.
— Quaranta! — grida Vergani. — Quaranta al signore grasso di Bologna, alpino e antiquario! Quaranta e uno! quaranta e due! quaranta e tre! Nessun altro? Aggiudicato al signore di Bologna per cinquanta.
— Quaranta, ho detto! — balbetta il bolognese.
— No, cinquanta! Cinquanta, o niente.
Il bolognese fa rapidamente un calcolo, arduo, che gli bagna la fronte di sudore: cinquanta l’albergo, cinque la mancia...
— Facciamo quarantadue! — implora.
— Cinquanta! — insiste Vergani, ignaro di tanta tragedia.
Un biglietto da cinquanta s’agita in aria, passa freneticamente di mano in mano; il bolognese stringe il caro libro, ride e sospira insieme. Ma il portiere di un albergo del centro avrà d’ora in poi una pessima opinione dei bolognesi; che non danno mancie, e si avviano a piedi alla stazione, e nemmeno prendono il tranvai.
I giudici di Bagutta.
Giovanni Titta Rosa vincitore del quinto premio Bagutta. (Disegno di Vellani Marchi).
Mario Vellani Marchi, coronato vincitore del secondo premio Avignone. (Disegno di Novello).

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 27.01.32

Citazione: I giudici di Bagutta, “Retroscena di Bagutta,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 15 maggio 2024, https://www.dioramagdp.unito.it/items/show/397.