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Titolo: La Cina a Vetralla

Autore: Marcello Gallian

Data: 1932-03-09

Identificatore: 1932_75

Testo: La Cina aVetralla
Che Vetralla esista, checché ne dica l’esclamazione popolare allorché fa di quel paese un sinonimo di Vattelapesca, è cosa certa: altrettanto non si poteva dire sino ad oggi della Cina. La Cina, dopo centinaia di anni, è finalmente l’argomento del giorno anche nei paesi che non hanno la fortuna d’essere alla ribalta d’una nazione: cosi che non farà meraviglia se una notte io fui svegliato di soprassalto da un amico benevolo, illustratore di sensazioni popolari, il quale, dal fondo della strada della città capoluogo di provincia, agitandosi a furia di calci e suoni precipitosi di campanelli si dette a gridare:
— Svegliati, è arrivata la Cina.
Sul far dell’alba, dopo un viaggio silenzioso dentro una macchina chiusa, arrivammo a Vetralla.
Gli italiani son gente di buon senso sino a che non se ne stancano: diventano allora poeti e son capaci, non appena abbandonata la via di mezzo, di far trasecolare il mondo. Che cosa ce ne può importare, alla fine, di quanto han scritto sulla Cina filosofi, storici, letterati, esploratori e geografi? A noi interessa il popolo, il quale non è sovraccarico di studi e non si lascia infinocchiare, per quel tanto che occorra, da elucubrazioni e da fantasie inutili. Che cosa ne pensi il popolo di Vetralla della Cina, ecco quel che ci preme.
I contadini in quell'ora erano di già in piedi, rabbuffati, e camminavano in ordine sparso, lungo la strada maestra, la strada lucidissima, asfaltata delle automobili, delle fughe feroci, dei viaggi importanti, degli autocarri ricoperti di tela nera. Tutto ciò che è un sogno per i cittadini avventurosi, la strada maestra, quei di Vetralla ce l’hanno a •portata di mano ogni mattina e ci camminano come in un corso. E nulla v’è di più strano quanto il vedere giocare alle bocce o alle figurine o al pallone, di quando in quando, su quella strada importante, fascinosa, piena di fatica, resa dunque famigliare e quasi casalinga. I viaggiatori famosi, reduci da Siena o da Roma, guardano trasognati dai finestrini e non sanno celare un gesto di disappunto, quasi l’avventura sia decaduta e l’incanto finito delle corse interminabili.
Vetralla è una tappa importante sulle vie d’Italia: paese robusto, sodo. che non dà l’idea del minimo vacillamento, della più piccola frana: le case si fondono quasi con la terra nuda, fanno un insieme gradevole a guardarsi, hanno La struttura dei poggi e delle colline: la terra passa indisturbata fra le case, ancora senza screpolature. Nel paese è quanto di necessario occorra agli uomini: un tabaccaio, una macelleria, una rimessa, la pompa della benzina, un caffè, le targhe alla fine e al principio del paese, che segnano i chilometri e avvertono che a cinquecento metri è il rifornimento. Il viaggiatore non si perde, dunque, né gli cade l’animo: se giunge stanco, se ne toma via ben rifocillato, la sigaretta fumante e il serbatoio pieno di benzina: un Creso, insomma. E in questa dipartita, non manca l’odore del caffè, a compir l’opera. E’ uno di quei paesi indispensabili, che arriva quando uno meno se lo aspetta, a metà del cammino, generalmente quasi d’improvviso, allora che le speranze si affievoliscono e la lena scema, il volante si fa duro, gli occhi hanno bisogno di riposo, di un cambiamento di paesaggio. Vetralla, se non fosse in Italia (crepi l’astrologo! ), si troverebbe ai margini d’una foresta faticosa, a metà d’una prateria, dietro una catena di monti inaccessibili: e allora sarebbe celebre. Vi giungerebbero viandanti assiderati, viaggiatori affamati, esploratori allucinati: un bel giorno vi si scoprirebbe l’oro o una qualunque Atlantide, vestita dimessamente, vi costruirebbe il suo castello sotterraneo. Ma le Atlantidi a Vetralla non farebbero fortuna.
*
Quel giorno era domenica, una domenica del nuovo tempo, dell’anno X, per intenderci, e tutti avevan da fare: le faccende sono moltiplicate, i progetti ingigantiscono, i carri con le stanghe all’aria sono un pretesto: i paesani invece che di riposo, hanno l’aria delle grandi aspettative e il silenzio è grave più che non nei giorni di lavoro.
Allorché si aprì il caffè, la gente v'entrò a crocchi: alcuni rimasero sul marciapiede confabulando. Altri sopraggiunsero ed altri ancora, che venivan dai vicoli, sempre confabulando: qui s’intende che cosa voglia dire parlare, esprimere le proprie idee, mostrare parole ad amici e a conoscenti. Il parlar forte è segno di allegria, di spregiudicatezza, di tranquillità d’animo: il parlottare invece, sottovoce e all’orecchio o con gli occhi fissi a terra, è indice di sospetto o di preoccupazione.
Che cos’era la Cina, a Vetralla? Bisogna domandarlo a quei ragazzi sènza pastrano in pieno inverno, secchi e robusti, con le gote in fiamma, le scarpe dure e le mani nelle tasche, che vagabondavano in quel giorno, con aria d’importanza reggitori del paese e del mondo. Erano stati importunati da mille domande, in quei giorni: di trafuga, fingendo noncuranza, i vecchi, gli uomini dei cam pi e delle stalle, quelli che hanno una filosofia « tutta loro » domandavano di geografia ai ragazzi. E questi, tirato fuori il testo di geografia, avevan risposto di confini naturali, di prodotti specifici, di riso, ecco, di riso che si mangia con le bacchette, Dio solo sa come. La Cina era un mondo morto, statico, largo un’immensità e freddo, e giallo, conosciuto semmai per i terremoti che sterminano ogni poco gli uomini come topi: tanto grosso quanto leggero: vi si costruiscon su infatti case di carta, palazzi di legno; alcuni dormono in gran quantità sui fiumi, dentro barchette; altri, quando sono a corto di quattrini, improvvisano un paraventino di carta velina, di quella che serve a ricoprire le mensole, vi si distendono dietro e s’addormentano. Un pugno di riso e un paravento. Si dice che un vecchione terribile, Marco Polo di nome, mercanteggiasse in quei paesi. E più nulla.
In seguito era capitato per caso, un venditore di bocchini, di collane di perle di vetro, di ventagli, di stuoie, il quale aveva per unico bagaglio una valigetta nuova. I ragazzi non lo avevan lasciato più in pace: il maestro lo aveva preso ad esempio per descrivere la razza gialla. Le donne, affacciate alle finestre, avevan sentenziato, sorridendo malignamente, che non era possibile innamorarsi di un tipo simile: in Cina non ci dovevan esser donne o, semmai, tutte cieche e gli uomini celibi dal primo all’ultimo.
E il venditore di bocchini era sparito, abbandonando due collane, una stuoia e una parola strana che da quel giorno in poi suonò offesa, chissà mai perché.
Quel tipo di viandante, inutile, giallo, indifferente, il venditore di bocchini e di collane, ecco ch’è divenuto guerriero all’improvviso. Non
c’era da aspettarselo: un fulmine a ciel sereno, un miracolo addirittura. Quella strana maschera di pagliaccio, che poteva esser preso a divertimento o come fenomeno di natura (ci sono i nani, gli acrobati, i prestidigitatori, e quindi i cinesi) d’un tratto cambia colore e specie: non si ride più, non è più inutile, non è più passeggero: è potente, è reale, non esistono più dubbi sulla sua razza. La cronaca corre in un baleno, i sospetti sono molti: una radio che la sera declama in qualche casa dalle finestre chiuse, parla certamente della Cina. Si richiedono le notizie ultime, si attendono i giornali. C’è perfino qualcuno, il saggio, il dotto, lo studioso del paese, che nei suoi discorsi ha cambiato argomento: discute dei costumi, delle leggi, delle pitture cinesi.
— Non scherzano mica: fanno la guerra. Prima eran morti, i cinesi, ora sono vivi: il venditore di bocchini ha lasciato il mestiere e stavolta porta le armi: è un uomo. Prima non sapevano d’esser cinesi: ora lo sanno: si sono svegliati.
— O che cosa credevan d’essere?
Domani forse, i ragazzi troveranno trucchi e costumi cinesi, come un tempo li trovavano dai cowboys o da Buffalo Bill e inventeranno una nuova mascherata utilissima: i nuovi ragazzi sono propagatori di civiltà e di sapienza: hanno possibilità antiche.
— E noi, nei riguardi, come ci dobbiamo contenere? — fa uno.
— E’ bene aspettare ordini al proposito — si risponde.
Marcello Gallian.

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 09.03.32

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Citazione: Marcello Gallian, “La Cina a Vetralla,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 14 maggio 2024, https://www.dioramagdp.unito.it/items/show/331.