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Titolo: Miniere

Autore: Lorenzo Gigli

Data: 1937-01-28

Identificatore: 1937-38_22

Testo: Miniere
Cronin, scrittore di ceppo scozzese, autore del romanzo E le stelle stanno a guardare (ed. Bompiani, Milano), ha poco più di quarant’anni, e viene dalla facoltà di medicina di Glasgow e dalle cliniche. Poi per qualche tempo fu ispettore sanitario nelle miniere del Galles, e quel che ha visto laggiù, nelle gallerie, nei pozzi, nei cunicoli, a centinaia di metri sottoterra, non lo potrà mai dimenticare; né quella che, fuori alla luce, è l’esistenza odierna dei minatori inglesi e delle loro famiglie, in un paese dove la legislazione sociale è ancora tanto arretrata e la mentalità conservatrice impregna tutte le correnti politiche, anche quelle che portano etichette rivoluzionarie. La crisi mondiale e la disoccupazione hanno avuto gravissime ripercussioni sull’industria mineraria britannica, e intere regioni da un decennio ne soffrono, e l’operaio si ripiega su se stesso nel fatalismo disperato che deriva dalla coscienza della propria impotenza a reagire: manca, sotto i cieli nordici, quello spirito di adattamento che è nel nostro lavoratore una fonte inesauribile di energia e che lo leva sempre dai mali passi; lassù, chi fa un mestiere, se questo gli manca, non è capace di sostituirlo con un altro: passa le sue fosche giornate seduto sulla soglia di casa con le mani in mano a guardare le galoppate delle nubi e ad aspettare il sussidio governativo. I giorni trascorrono grigi nell’ozio forzato, il morale va giù, la miseria occupa i cuori prima della dispensa, una patina nera si distende su chilometri di casette tutte eguali costruite una accanto all’altra, allineate a perdita d’occhio. Paesaggio materiale e spirituale desolatissimo...
*
Il romanzo di Cronin è sotto molti aspetti una chiave di codesti temi che abbiamo accennato.
I dati ch’egli allinea sulle condizioni delle miniere e dei minatori sono certo impressionanti; ma quel che più impressiona il lettore — al di là della nuda eloquenza dei rapporti e delle cifre — è lo sforzo costante del romanziere per rimettere in circolazione il sangue e per stimolare il cuore di tanta gente, semiasfissiata dalla miseria e dall’abbrutimento, mediante le iniezioni di canfora della sua scrittura maschia e disadorna, alleata alla conoscenza profonda del mondo che descrive e alla simpatia appena dissimulata che lega lo scrittore alle cavie del destino.
Egli le porta sul tavolo anatomico al modo, mettiamo, d’uno Zola. I suoi strumenti non sono diversi, non è diverso il suo metodo; è diversa l’anima perché è diverso il tempo. E non è neppure da dire che codesta posizione anacronistica crei contrasti stridenti e paradossali tra la materia e il metodo, tra la sostanza e lo stile. Cronin parte da premesse filosofiche arcisfruttate (l’ingiustizia che tiranneggia il mondo sotto le stelle impassibili), denuncia i difetti e le colpe della società capitalistica, aduna in un personaggio tutte le tare e ne fa un fortunato della vita, addensa in un altro tutte le virtù e lo riduce uno straccio, insomma si vale di quei facili effetti che erano utili al romanzo verista fine di secolo per dimostrare, senza troppo spreco di sillogismi e sostituendo l’iperbole alla serena analisi dei sentimenti e delle passioni, una tesi qualsiasi. La differenza con Cronin sta in ciò: che lo scozzese racconta e non ragiona, rinuncia alla discussione e alla polemica per lasciar la parola ai fatti, non ha un assunto politico o sociale da sostenere ma una solidarietà umana da affermare. Nel suo romanzo, dove si muove una folla di personaggi, con almeno quattro protagonisti, non s’incontrano più di venti righe descrittive e non se ne trova nessuna dottrinale. Lo stesso apporto della documentazione rigorosa è così strettamente aderente ai fatti e alle avventure che il lettore si trova ad essere informatissimo sull’ambiente minerario senza che la sua attenzione sia stata distratta neppure per un attimo dalla progressione della vicenda e dai contrasti morali dei personaggi.
Cronin si rifà indietro, alle soglie del secolo, c’introduce nelle miniere d’anteguerra del bacino della Tyne, ci fa passare per il periodo bellico e la trasformazione industriale, approda alle rive della crisi contemporanea. L’arbitrio di qualche impostazione di conflitti risolti, per così dire, per la tangente, mediante la collusione d’un simbolo fragile e d’un simbolo prepotente; l’insistenza di alcuni motivi idealistici facilmente smontabili, anzi preventivamente smontati dalle esigenze del lettore moderno, non diminuiscono l’originalità e la forza di questo romanzo che evoca un mondo a noi straniero e ci disvela altri volti del patimento umano. Un disastro in una miniera ricostruito non dall’esterno ma attraverso il dramma dei protagonisti è forse quanto di meglio, di definitivo sia stato scritto finora su questo tema terribile che torna con tanta frequenza nelle cronache dei giornali: i capitoli 22, 23 e 24 della prima parte, con la loro dosatura d’effetti angosciosi ottenuti col massimo di semplicità fatalistica, sono destinati a far testo; non ci uscirà facilmente dalla memoria la maestà religiosa di quei morti sotterranei, vegliati da qualche mozzicone di candela, in una galleria ostruita: morti di sete e d’inedia, morti nell’aria viziata e tenebrosa mentre fuori splende il sole sul mondo; e prima di morire le vittime passano la rassegna dei loro sogni sereni; ed una di esse, un ragazzo, pensa alla partita di calcio di domenica che non potrà più vedere, alla promessa che gli avevano fatto d’assumerlo tra i giocatori, che non sarà mantenuta.
Qui, dicevamo, si raggiunge la più alta commozione coi mezzi più semplici, con parole comuni, con toni dimessi. Codesta sobrietà espressiva, codesto pudore della frase e del gesto caratterizzano Cronin e lo isolano, precisano la portata e l’estensione delle sue simpatie letterarie e dei suoi schemi che incidono solo in parte sulla sua mentalità di scrittore della nostra generazione, e proprio in quella facilmente denunciabile come deteriore. Forse, sotto questo aspetto di spia del suo vero sentimento, il personaggio che gli è meglio riuscito è quello d’una donna, figlia di minatori, sposa d’un minatore, madre di minatori, che subisce dal dì che nacque la legge crudele della miniera, non concepisce la vita fuori di essa, e vede crolli e tragedie, ingiustizie e disperazioni, e brancola come Niobe tra i caduti, e pure non è contenta che quando un suo figlio, che la carriera politica ha deviato dalla miniera, vi fa ritorno, e porta seco nel pozzo un ragazzo, nato da un altro figliolo di lei che nella miniera è perito.
Lorenzo Gigli.

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 28.01.37

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Citazione: Lorenzo Gigli, “Miniere,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 16 maggio 2024, https://www.dioramagdp.unito.it/items/show/2341.