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Titolo: Episodio d’una domenica mattina

Autore: Sandro Volta

Data: 1932-09-21

Identificatore: 1932_534

Testo: Episodio
d'una domenica mattina
Il vecchio colonnello entrò dal barbiere, si sedette sulla poltrona, e senza tanti preamboli esclamò:
— Barba e capelli. I capelli tagliati tutti: davanti, di dietro, tutti. Macchina senza alzo e via!
Parla secco come se desse dei comandi in piazza d’armi; con un tono che non ammette repliche. Quasi ci fosse il caso che qualcuno stesse lì lì per dirgli:
— Ma no, signor colonnello, perché vuole sacrificare questi bei capelli? Lasci almeno un alzo alla macchina, tanto che ne rimanga appena un mezzo centimetro!
— Basta, — griderebbe lui in tal caso — quello che ho detto ho detto, e non si discute.
E volgerebbe lo sguardo corrucciato da un’altra parte, come quando comunicava otto giorni di arresto a un subalterno.
Eppure, il vecchio colonnello in pensione è un uomo mite e bonario; una mattina si e una no viene sempre da questo barbiere, e nessuno lo avrebbe mai creduto capace di un contegno cosi autoritario. Benché fosse di poche parole, entrava col suo passo un po’ strascicato ed era sempre il primo lui a dare il buon giorno; quando tutti i lavoranti erano occupati, si sedeva paziente sullo sgabello vicino alla vetrina a sfogliare un giornale illustrato, e non c’era mai caso che si facesse avanti da sé, se prima non era il padrone a dirgli: — S’accomodi.
Ora, invece, i entrato di prepotenza e, senza nemmeno curarsi di vedere se era il suo turno, s’è andato a mettere nella poltrona, per dare poi quell’ordine perentorio.
Intanto il garzone ha appoggiato la macchinetta sul collo e incomincia a tagliare una striscia di capelli della nuca. Ecco la collottola allo scoperto, secca, grinzosa, con tante rughe di pelle vizza e tremolante. Si pensa che da un momento all’altro un po’ di pelle rimanga presa fra i denti della macchina e che cominci a colare del sangue bluastro, denso denso. Sembra anche di scoprire una specie di eczema in quella chiazza rimasta a nudo, una malattia dell’epidermide che fa un’infinita compassione. Delle vene brune e gonfie serpeggiano fino alle tempie.
Il signor colonnello, che nel frattempo legge il giornale, alza ogni tanto lo sguardo e lancia un’occhiata accigliatissima per vedere come procede il lavoro. Ora rimane soltanto qualche ciuffetto di pelo grigio dietro le orecchie, e la testa monda pare essersi contratta come un pugno serrato; senza più capelli sembra esser diventata piccolissima, e, ingobbita alla sommità e tutta gonfi e fossette, ha l’aspetto d’un nodo. Si teme che'gli si debba restringere dell’altro, perché in tal caso non si distinguerebbe più dal collo; sembra già diventata un moncherino che i lineamenti disfatti del volto, senza più connotati precisi, ricoprono di cicatrici. E a cose fatte, mentre rimette a posto il bottone del colletto, la dimena come una tartaruga che cerchi una foglia d’insalata.
A rimirare tanto sfacelo, dovuto alla sua ostinazione caparbia, si direbbe che il vecchio perda tutto in una volta la sua sicurezza, e che ora si accasci e magari stia per mettersi a piangere, a disperarsi come un bimbo. Ma è un attimo: ecco che subito si riprende, rivolge un ultimo sguardo severissimo allo specchio, e s’avvia verso la porta.
Fuori passa un corteo. I giovani fascisti sfilano coi gagliardetti neri e la pezzuola gialla e rossa al collo; una fanfara suona gli inni patriottici. Poi ecco una rappresentanza di ufficiali di tutti i reggimenti del Presidio, in alta uniforme e con le decorazioni; e alcune vetture piene di mutilati. Dei balilla fanno il saluto romano e gridano « Alalà! » con voci infantili.
Il vecchio colonnello a riposo s’è impettito sull’attenti e fa il saluto romano anche lui, ma non aspetta neppure che sia sfilato tutto il corteo, alla prima cantonata svolta e si tira fuori dal trambusto: si capisce che ha una gran premura di ritornar subito a casa, per mostrare alla famiglia esterrefatta gli effetti della subitanea decisione, e irrevocabile.
Sono più di dieci anni che l’hanno collocato a riposo, e in casa, ormai, lui non conta più nulla e gliene tocca di passare di tutti i colori. La moglie, diventata irascibile all’eccesso, lo tratta peggio della serva, non gli lascia mai aprir bocca, e non gli rivolge la parola altro che per insultarlo. Le figliole, poi, fanno il comodo loro dalla mattina alla sera, lo stesso che lui non ci fosse: sempre fuori di casa, si fanno riaccompagnare dopo la mezzanotte in automobile dai giovanotti, e se lui parla gli voltano le spalle senza starlo a sentire. E’ tenuto nello stesso conto delle pezze da piedi: una volta che dette un calcio al gatto perché aveva insudiciato in un angolo della sua camera, tutti lo ricoprirono d’improperi, un’altra che lo sorpresero mentre beveva due dita di marsala poco mancò che non lo scacciassero di casa. E a tavola par che lo facciano apposta a preparar sempre delle pietanze che a lui non piacciono.
Da quando, raggiunti i limiti d’età, lasciò il comando del Terzo, tutto il suo prestigio è sfumato in un attimo; messi gli abiti borghesi, perduto il diritto all’attendente, è diventato subito un vecchio pensionato qualunque, uno che a ogni cambiar di stagione ha i reumi, un impiastro, un fastidio per la famiglia. Le decorazioni, sotto vetro, appuntate sulla pergamena ingiallita, pendono dalla parete del salotto tappezzato di damasco cremisi, ma è come se non appartenessero più a lui, come se lui non se le fosse guadagnate: un ornamento della casa, ormai, come i vecchi boccali di Pesaro, i vasi cinesi, i tappeti arabescati.
E’ tanto tempo che medita una rivincita; un gesto da disperato senza possibilità di scampo.
Ora cammina in fretta per la via fiancheggiata di giardinetti, e il rumore della festa si fa sempre più lontano, un brusio indistinto sul quale sovrasta ogni tanto un acuto della fanfara, o un evviva gridato da cento voci. Il sole, a picco, fa ballar l’aria come per quei nugoli di moscetti che s’incontrano per le strade di campagna. Il vecchio colonnello, che non vede l’ora d’entrare in casa sbatacchiandosi dietro l’uscio, cammina senza pentimenti in mezzo alla via deserta, e batte forte i tacchi sul selciato, come quando, la domenica mattina, davanti ad Aragno con l’aiutante maggiore al lato faceva sonare gli speroni sul marciapiede del Corso.
Sandro Volta.

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 21.09.32

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Citazione: Sandro Volta, “Episodio d’una domenica mattina,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 14 maggio 2024, https://www.dioramagdp.unito.it/items/show/790.