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Titolo: La cartolina

Autore: Adriano Grego

Data: 1932-11-23

Identificatore: 1932_501

Testo: La cartolina
L’uomo si alzò dalla poltrona. Gli parve, dopo quei pochi giorni di malattia, d’esser diventato più alto. Era debole e incerto: tutte le cose d’intorno gli parevano invece consolidate nella loro forma, gli parevano le une più dure, le altre più soffici di quanto non avesse prima supposto. Lo stupì così: la rotondità, di una boccia dell’acqua, la solidità della tavola, il giallo sfacciato di una maniglia d’ottone e poi tutti i rumori che giungevano a strappi dalla finestra chiusa e poi quello strano odore delle cose e dell’aria. Annusava un po’ tutto senza premura, con una curiosità sorniona e animalesca. Si sentiva stanco. Era certo in quel momento che per tutto il resto della sua vita gli sarebbe rimasto nelle ossa quel torpore quasi doloroso, una fatica, una pena, un bisogno incerto di trovare qualche cosa di nuovo in fondo ad un cassetto.
— Anna — chiamò ad un tratto.
Nessuno gli rispose. Non sapeva neppur lui che cosa avrebbe chiesto ad Anna se fosse venuta. Ma nessuno rispose. E subito l’eco della sua voce si spense come se qualcuno per fargli rabbia l’avesse cancellata. Inutile chiamare ancora.
« Mi lasciano sempre solo » pensò.
Allora si sedette di nuovo nella poltrona e allungò le gambe. « Potrei anche bere qualche cosa » disse fra di sé. Ma la fatica era troppa. Senti ugualmente in fondo alla gola una liquida freschezza che scendeva. « Bisogna che mi faccia portare in ufficio del tè freddo » pensò.
L’ufficio gli si presentò alla mente come una nuova malattia da affrontare, ma lunga, lunga, senza riposo. Si alzò di nuovo. Spostò lievemente un quadro a muro inclinato da un lato, poi s’avvicinò alla finestra; la gente nella strada non guardava mai in alto, come se per ognuno ci fosse stato il divieto comunale di distrarsi e di fischiettare un poco.
L’uomo si scostò ed uscì dalla camera. Non aveva niente da fare. Vide posato su una seggiola un fascio di libri legati con una cinghia e neghittosamente l’allentò.
« Mario deve essere andato alla ginnastica — pensò. — Purché non si faccia male alle parallele ».
A quarant’anni ancora, ogni volta che pensava a suo figlio già sulle soglie della giovinezza, provava uno strappo violento, una sorpresa, la sensazione che gli anni, a lui, li avesse rubati qualcuno, magari mentre dormiva. Aperse un libro a caso. « Gallia est omnis divisa in partes tres, quarum unam incolunt Belgae, aliam, Aquitani, tertiam qui ipsarum lingua Celtae, nostra Galli appellantur ». In un quaderno c’erano degli appunti di storia naturale. Si ricordò di quando ai suoi tempi scrivevano i nomi astrusi delle piante, dei minerali, sulla polvere dei vetri alle finestre. Convalaria maialis: era l’unico nome che si ricordasse ancora. Prese un altro quaderno e lo sfogliò. Guarda, una cartolina... La guardò appena e la lasciò cadere per terra come se gli fosse bruciata fra le dita. Poi la raccolse e la rimise al suo posto, quasi con paura come se qualcuno avesse potuto sorprenderlo in quella posa, come un ragazzo colto in fallo.
— E adesso? — si domandò. Debole com’era, colle giunture che gli dolevano, una fascia nebulosa che gli stava dinanzi agli occhi dal primo momento in cui si era alzato dal letto, provava ora un senso angoscioso di smarrimento. Gli pareva di dover decidere subito qualche cosa. Subito, senza un minuto per raccogliere le idee. Subito, prima che il ragazzo tornasse a casa.
Si sedette. Quella cartolina, quella ignobile figura oscena, trovata fra i libri del figliolo, lo indignava come un insulto alla pulizia, alla casa, al suo stato di uomo convalescente. Gli vennero in mente delle frasi retoriche solenni, e gli parve di battere sul tavolo un pugno. « Non hai vergogna? Una turpitudine di questo genere? ». Dio mio, turpitudine è una parola che non si sente dire neppure più nei teatri. Cercò di sorridere, ma non vi riuscì completamente. « Le malattie — pensò — rendono proclivi al parlare solenne. Per fortuna che Mario non è a casa; se gli avessi fatto un discorso di questo genere mi avrebbe guardato con pietà. Attenti: bisogna cercare di non fare il padre nobile ».
Allora, lentamente, chiuse gli occhi. Dapprima l’enormità della sua scoperta gli parve strettamente legata alla ignobilità della figura. « Questo è troppo! — si diceva. — Questo non vuol dire essere scaltriti, ma depravati ». Ma quasi subito s’accorse che il ragionamento era piuttosto bislacco, « perché la pornografia — pensò — per un ragazzo, non può avere una scala di valori ». Allora cambiò corso ai suoi pensieri. « Vediamo un po’ — si disse — perché diavolo devo sentirmi così sconvolto per una sciocchezza di questo genere? I ragazzi, in fondo, son tutti eguali. A tredici anni il grande mistero che pesa è uno solo, e ognuno s’affatica di penetrarlo con la solita goffaggine che nessuna educazione potrebbe mitigare mai. Nemmeno i nudisti ci riesciranno; e tanto meno una scuola o un padre intelligente. E allora? Allora non c’è niente da fare. Cercare, che Mario faccia della ginnastica e la doccia fredda tutte le mattine. Che sia un ragazzo sano: e poi l’incompostezza di questi anni passerà come è passata a tutti ».
Il ragionamento era limpido e liscio e avrebbe dovuto sentirsene appagato. Non c’era niente da fare. Neanche da parlarne colla moglie. Tornare nello studio e pensare ad altro. Alla sera, baciare il figliolo come tutti gli altri giorni senza guardarlo negli occhi con aria investigativa. Proprio niente da fare. Mario è un ragazzo sano: al tennis tira certi « smashes » secchi, precisi, angolati, che fa piacere vederli. E quando ride... quando ride, santo cielo, ci si dimentica anche delle ditte che non pagano colla scusa della crisi.
Cercò di convincersi che era tranquillo, che non c’era nulla di cui temere. Ma si sentiva a disagio ancora.
« La giovinezza è un dono di Dio ». Le frasi solenni, pompose, gli si affacciavano involontariamente, gli cadevano addosso come se fossero stati frutti maturi piovuti giù nell’erba per il peso del loro rigoglio. La giovinezza... Tutta roba astratta. Figure retoriche. Sentiva gravare sul capo del figliolo tutti i proprii ricordi personali: le donne, i quattrini, la moglie, le lettere a cui rispondere, la barba da radere tutte le mattine, le visite al sarto, una donna di servizio da licenziare, un viso nuovo che gira per la casa, Mario che è ritornato da scuola con la febbre, un piroscafo fermo in quarantena in un porto del Mar Rosso. Dove sarà Mario a quest’ora? Caro, caro ragazzo mio! Poterla fermare almeno per lui questa avanzata dei giorni e delle notti! Potergli rubare un po’ di sofferenza! Invece no: ognuno deve ricominciare da capo. Quella figura oscena in mezzo ai libri di scuola — oscena proprio, una cosa turpe, volgare — è la sua vita che comincia. E non c’è niente da fare.
Auffa! L’influenza è la malattia più penosa che sia mai stata inventata. O che sia un po’ di anemia cerebrale? Ci vorrebbe un ricostituente, di quelli seri.
Intanto s’era fatto buio; e, come ne ebbe coscienza, gli parve che il buio lo fasciasse, lo coprisse, rendesse meno evidente la sua personale responsabilità di fronte a tutto. Un senso di indulgenza lo prese a poco a poco, verso gli altri e verso se stesso. « In fondo — pensò — quando ci si alza dal letto dopo una malattia si è sempre deboli. Che cosa sono quarant’anni? Ho ancora tanta forza in corpo da far morire d’invidia quelli che chiamano i giovani ».
Picchiò un pugno sul bracciolo della poltrona e si alzò in piedi. « Domani — pensò — sarò un altro uomo ».
Tornò in camera sua e incominciò a spogliarsi. Mentre si toglieva le scarpe con un gesto un po’ faticato si ricordò d’una frase paradossale che soleva dire una volta: « Quando i figli incominciano a guardare le donne, i padri dovrebbero smetterla ».
E allora gli rimase il dubbio avvilente che tutta la sua indignazione e il suo allarme di poc’anzi fossero nati di lì: perché francamente non fa piacere sentirsi suonare le campane a morto da nessuno.
* * *
Ci sono dei baci che si dànno ai proprii figlioli, quando tornano a casa, che non assomigliano ai baci di tutti i giorni. Ma i figlioli non lo sanno.
Adriano Grego.

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 23.11.32

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Citazione: Adriano Grego, “La cartolina,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 15 maggio 2024, https://www.dioramagdp.unito.it/items/show/757.