Beta!
Passa al contenuto principale

Titolo: Storia d’un "Capogiro"

Autore: Lorenzo Gigli

Data: 1932-11-16

Identificatore: 1932_494

Testo: Storia d’un “Capogiro"
L’invito al romanzo è stato, in questi ultimi due o tre anni, largamente raccolto. Troppo, dice taluno. S’è determinata una corsa al traguardo del volume compatto che si fregia della denominazione attinta dalla condannata (e rientrante regolarmente per la finestra) divisione in generi letterari. A codesta corsa partecipa anche un gruppetto di critici, passati dalla prosa culturale e didattica alla prosa narrativa, oppure altrettanto attivi ed onesti in entrambe. Così dopo il primo romanzo del critico X è venuto il primo romanzo del critico Y, mentre annunzia il suo il critico Z. E continueranno. Tanto più che alcuni han cominciato bene: vedi il caso di Fernando Palazzi; e vedi quello più recente di Arnaldo Frateili, che nelle settimane precedenti il premio viareggino si è presentato al pubblico con Capogiro, romanzo d’amore (ed. Bompiani, 1932 - L. 8). Ma Frateili non ha voluto che Capogiro facesse passare in dimenticato la sua attività giornalistica e critica, ed eccolo accompagnare il romanzo con un volume di prose raccolte, Il paradiso a buon mercato (ed. G. Carabba - L. 10), che potrebbe definirsi il diario di un uomo di lettere trasformato in viaggiatore: lo illustrano quindici disegni di Enzo Frateili, alluminatore vigoroso ed espressivo delle pagine paterne. Un libro di viaggio è, sempre una pietra di paragone delta sensibilità, del lirismo e della intelligenza dello scrittore. Frateili possiede prima di tutto la felicità d'ambientarsi e di mettersi in cordiali rapporti col paesaggio, di penetrare da quella aperta finestra nello spirito del piccolo mondo di cui si trova occasionalmente al centro, sìa il Cairo o la Sardegna, Leptis Magna o Stoccolma, la Puglia o l’Alto Adige. La sensibilità del Frateili aggiunge poi al quadro pennellate di sofferta esperienza e velature nostalgiche che ne fanno una cosa raffinata e preziosa. E se dal diario passiamo al romanzo vediamo che in sostanza il modo della scrittura non muta.
I personaggi di Capogiro sono creature smarrite e incerte nel mar della vita, malate di quel male che è una caratteristica dell’epoca moderna e che ha tanta parte nei romanzi di oggi, nostri ed altrui; male della volontà e del sentimento, aridità ed abulia, che talvolta dà nel cinismo (Gli indifferenti) talvolta rende lo stridore d’un meccanismo scentrato e folle (Renio Maun). Malattia della volontà, oblomovismo? La differenza tra questi nostri scontenti e il capo-stipite inventato da Gonciaroff quasi un secolo fa, è sostanziale. Oblomov sorride della propria impossibilità, non impotenza, a reagire; ha coscienza del proprio inguaribile male e in fondo si diverte allo spettacolo di se stesso disteso sopra un divano ad attendere che le ore passino l’una dietro l'altra, che scorrano le giornate e venga la morte.
Non muoverebbe un dito per mutare il proprio destino, nè gl’importa di mutarlo. Il Benedetto di Frateili invece è un eterno scontento; e le ragioni del suo scontento sono molto complesse e fanno confusione nel suo cuore. « Una è chiara, ma proprio quella non se la vuol dire, perchè è nella natura di Benedetto di non dirsi le cose che gli fanno dispiacere ». (Oblomov se le dice e se le lascia dire tutte, e poi le scrolla di dosso con una spallata e si volta sul fianco). Benedetto attende sempre qualche cosa di nuovo e di diverso, dà appunta menti al destino, fantastica sulle sorprese che questo gli può preparare, ma si ritrova sempre con le mani vuote e il cuore colmo di cenere.
Di che egli precisamente si dolga, in fondo non saprebbe dire: « Finora tutto gli è andato per il suo verso, una buona stella lo ha trascinato nella sua coda. Ma, c’è gusto a vivere così? E gli cresce dentro uno scontènto, che a momenti è quasi una disperazione ».
* * *
Il romanzo non si esaurisce nel personaggio e nel dramma, sterile di Benedetto. Viene il giorno del cambiamento. Ed è, naturalmente una circostanza fortuita a provocarlo « Cercherà delle donne come sempre, ecco ». Un homme-à-femmes? Neppure per sogno. Un professore di scuole medie che ha desiderato e avuto delle donne, ma non ci ha mai impegnata l’anima, fredda e diffidente davanti alla donna, col suo rimpianto di non saper amare in un altro modo. Pensa di sè: « Sono un cinico sensuale, un uomo, da nulla, uno stupido oltre tutto »; e in parte ragiona bene.
Codesto professore, che è poi uomo di studi e d’un certo gusto, si lascia prendere dalle passioni elementari della folla, e in certi casi (per esempio al cinematografo, davanti ad un film patetico) è capace di piangere come un bambino. Anemia spirituale. Appunto al cinematografo si snoda l’avventura nucleare del romanzo; il caso gioca a Benedetto uno de’ suoi tiri e lo fa innamorare di Alina, una giovinetta coetanea della sua figliola. Quanto s’è riferito prima sul carattere e le disposizioni di Benedetto, sul vuoto del suo cuore e sulle sue aspirazioni, può spiegare la nascita di codesto amore paradossale in un momento di solitudine più acuta e di brancolamento più cieco. Benedetto ha famiglia, una moglie con la quale non s’intende, due figli, una borghese tranquillità; incontrare Alina al cinematografo, una ragazza che conosce da tempo e alla quale non s’è mai particolarmente interessato, avere la rivelazione che essa l’ama di nascosto, innamorarsene a sua volta, baciarla su per le scale come uno studente, non può essere la risposta del destino alle sue famose domande, un ritorno di giovinezza, un rinnovamento? Un ritorno che dà le vertigini; il capogiro d’un uomo di quarant’anni di fronte non ad una banale avventura ma ad un amore vero che turba e sconvolge anima e sensi; l’amore d’un uomo maturo e d’una giovinetta, che s’insinua di colpo nel quadro d’una esistenza ormai ridotta alla forinola più comune e apparentemente non più suscettibile di spirituali reazioni. Le contraddizioni del carattere di Benedetto forniscono all’autore buon gioco per condurre avanti l’avventura e svolgerla su piani distribuiti con notevole abilità tecnica, con uno spiccato gusto modernistico dei contrasti di luce e del taglio ardito dei quadri.
La padronanza di codesta tecnica costruttiva è forse una delle qualità migliori del Frateili; preponderante là soprattutto dove si determinano le fratture fra la tradizione famigliare concepita secondo una formula piccolo-borghese e le velleità di liberazione e di rinascita che attanagliano lo spirito di Benedetto e giustificano ai suoi occhi le sue ribellioni in potenza: le quali poi finiscono col diventare catastrofiche e distruttive anche oltre il previsto e con l’immettere nei capitoli finali un vento di tragedia: si veda la scena della morte improvvisa d’innocenza, l’abbandonata moglie di Benedetto, ch’è tra le più belle del romanzo. Al quale se, in ragione appunto della sua tecnica, dobbiamo rimproverare un che di episodico e di frammentario, un distacco troppo forte tra il nucleo amatorio Benedetto-Alina e le avventure degli altri personaggi (i cui ritorni in primo piano son tutti accessori, anche quando sembra che stiano per assumere le proporzioni più adatte alla loro consistenza morale ed artistica nell’economia della vicenda: si vedano, ad esempio, la commovente morte del bambino e la scena della sala operatoria), dobbiamo anche riconoscere un cospicuo valore di documento del nostro tempo. Ma quel che a nostro avviso più conta in Capogiro è, oltre lo studio preciso dell’ambiente e della mentalità borghese, l’evocazione d’una tipica atmosfera di malinconia.
Lorenzo Gigli.

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 16.11.32

Etichette:

Citazione: Lorenzo Gigli, “Storia d’un "Capogiro",” Diorama Letterario, ultimo accesso il 14 maggio 2024, https://www.dioramagdp.unito.it/items/show/750.