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Titolo: Natura morta

Autore: Nino Savarese

Data: 1932-11-16

Identificatore: 1932_490

Testo: Natura morta
Se per ottenere i tuoi frutti sforzi troppo i limiti delle stagioni, non ti gloriare della tua inutile ingegnosità.
La pianta ubbidisce ai tuoi inganni, e tu ne profitti e quasi la irridi, ma il frutto che le strappi a tradimento porterà sempre il segno del tuo inganno.
Coi tuoi ritrovati e con la tua scienza, nulla puoi aggiungere alla naturale perfezione, anzi la devii.
*
L’uva invernale, uscita dalle serre o partorita faticosamente per le perversioni della pota o l’eccesso degli ingrassi, sta, dietro la vetrina del negozio cittadino, come una spoglia inerte. Il grappolo è appeso come una spoglia vegetale: la vita della sua carne è lontana nelle stagioni: qui, a gonfiare il fiocine scialbo degli acini, ci è una polpa formatasi casualmente, per una sorte di inerzia fisiologica.
Il suo colore fiacco e diluito sembra che arrivi appena ad evitare lo scandalo di non giungere a colore d’uva, e restare a metà, in una orribile bianchezza abortiva. Ma il palato non si ripromette nulla di buono; le narici non vi si aprono contro; forma e colore muoiono nei loro limiti, quasi convenzionali, senza suggestioni senza canti e senza inviti.
Non dire, dunque: « Che bella uva! », passando davanti a quella vetrina, ma aspetta settembre, e vattene con passo discreto per gli angusti viottoli di una vigna in collina.
Guarda bene tra i pampini, ché, alle volte, i grappoli più belli sono quelli che più si nascondono; sollevane uno e ficca l’occhio nella cavità dèi tralci, tra il tetto dei pampini e la terra, ormai secca e soda, a tratti coperta dall’ultima peluria delle gramigne. Fin dal mese di maggio il grappolo abita questo ombroso talamo! Gli acini biondi o neri sono turgidi, e stretti a mucchietti compatti, come se stessero pigiati sul legno del graspo.
Li ricopre un leggero appannamento, come un velo uterino; la polpa nascosta inturgida la spoglia e rende vivo, tenero e cangiante il suo colore; e il succo zuccherino e profumato pare che forzi la pelle del fiocine.
In un punto del grappolo, un lembo di foglia rimasto imprigionato tra i chicchi spunta come una lingua verde ed accenna, con quel vestigio capriccioso, alla lunga storia del crescere e del maturare dei piccoli grappoli infantili, nascosti e protetti dalle foglie, allora tenere e chiare.
Nel mezzo di quel grappolo biondo ed intatto, ci sta anche bene questa ferita di vespa, la quale, sebbene subito rimarginata dal sole, mostra le labbra secche aperte sulla polpa viva Una mano miracolosa immerse questo grappolo nelle acquose notti primaverili; lo trasse gocciolante di oro dalle tepide aurore di giugno; lo espose ai torridi meriggi di agosto, facendogli però schermo coi pampini, perché non si scottasse, e poi lo distese ai pleniluni calmi e tepidi, perché anche la luna non mancasse di prodigargli le sue cure. Alla fine le rapide piogge autunnali lo lavarono con discrezione e i pronti venti di settembre lo asciugarono, ed ecco che sulla sua pelle porta il colore di tre stagioni.
Se vuoi che questo grappolo non ti nasconda nulla dei suoi misteri e della sua bellezza, guardalo appena colto, posato sulla pietra bruna del muretto che chiude la vigna, o nella mano della vendemmiatrice che lo solleva contro il sole.
*
La generosa natura, abbandonata al flusso della sua continuità, porge sbadatamente i suoi schemi ed i suoi archetipi anche alla simulata urgenza di una fruttificazione fuori tempo. Essa è soggetta a tutti gli inganni, ma sta all’uomo a non ve la esporre.
A guardia di questa sua prodigalità, stanno il ritmo delle stagioni, gli ostacoli fermi del tempo e la moderazione dei nutrimenti della terra. Se l’uomo forza quel ritmo e rompe quegli ostacoli, l’alterazione stessa delle forme accenna alla corruzione, non al progresso. Il saggio coltivatore non si vanta della sua furberia, ma della sua esperta assistenza: egli non mira ad ottenere frutti troppo vistosi, ma ben compiuti e perfetti; sa che l'eccellenza di un frutto non sta solo nelle proporzioni, ma anche nel gusto, nella compiutezza ed armonia del suo sviluppo.
Perciò una pesca troppo grossa o un'ortaglia troppo alta, lungi dal persuaderci alla schietta ammirazione, ci turba con una sorte di meraviglia, che è come l'avvertimento di un pericolo che corre l’armonia delle cose; il pericolo di un’evasione delle forme verso l’anarchia e la mostruosità.
*
Non dire che sono belle quelle pesche enormi che troneggiano sulla ricca fruttiera di cristallo, con quei gialli e quei rossi che sembrano spalmati sulla buccia da una mano inesperta, tanto fu tradita e sviata quella sapientissima della natura.
L’albero che crebbe nella valle o nell’orto o in mezzo alla vigna, dove la terra era fresca, quel tanto che occorreva, e sciolta e ricca, ma senza eccesso, non produsse mai pesche così spropositate, ma armonicamente proporzionate e ben saporite. Una certa avarizia della terra è utile a smorzare la furia dei rami e delle foglie e si direbbe che consigli la pianta a trattenere e maturare bene i suoi progetti: il sottosuolo non troppo ricco di acqua, che non diluisce le sostanze nutritive, fa il nutrimento più regolato e sostanzioso.
Contrasti e difficoltà non nocquero mai alla piena maturazione di frutti belli e perfetti. Occorre che il sole non sia troppo forte e continuo, ma nemmeno raro e di poco vigore; ed è un gran bene se all’afa del giorno succede il ristoro della brezza notturna.
Una pianta fuori da questi contrasti e difficoltà è fuori del tempo e delle stagioni: in condizioni troppo razionali, la natura opera ubbidendo alla sua fatalità, ma senza amore e si direbbe quasi senza convinzione, acconciandosi a certi convenzionalismi fatti per gli spiriti grossolani.
*
Se apri una di queste pesche maturate in terreno acconcio, ma senza sforzature di sorta, vedrai che la sua polpa è succosa, ma non troppo morbida; è striata di vene che sembrano piene di un liquore denso e profumato; e di nodi carnosi, tra striature di rosso o di giallo intenso.
La buccia non è troppo liscia e superficialmente sfumata, ma un po’ di ruvidezza accusa che il suo colore è profondamente lavorato, come per le incrostazioni del sole, e vi scorgi sopra una patina, ora di velluto ora di seta grossa, dalla quale si parte quel profumo che da lontano chiama le farfalle e gli uccelli.
Guardale, appena colte, in un canestro fatto di schegge di canna e di rametti d’olmo: una ha una fogliolina rimasta attaccata al picciuolo, un’altra ha una macchiolina più scolorita, con stampe di acerbo verde, nel punto del contatto con la sua gemella; un'altra ancora è tanto matura che sembra struggersi in zucchero e profumo sotto la pelle che impallidisce, qua e là, e si fa quasi trasparente.
Ed io credo che sono cosi perfette e saporite appunto perché non sono troppo grosse, e non tutte belle allo stesso modo Le più piccole sembra che tirino a nascondersi tra le foglie; le mezzanelle fanno da corteggio alle più grosse, che troneggiano sul ramo e lo fanno incurvare, e ce n’è sempre una, ma una sola, che strappa un’esclamazione di meraviglia al contadino che vi mette sopra la sua mano nera e rugosa.
Nino Savarese.

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 16.11.32

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Citazione: Nino Savarese, “Natura morta,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 14 maggio 2024, https://www.dioramagdp.unito.it/items/show/746.