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Titolo: Rimpatrio dell’esule

Autore: Massimo Caputo

Data: 1932-10-26

Identificatore: 1932_462

Testo: Rimpatrio dell’esule
Una mattina all’alba che c’erano ancora tante vive stelle e appena appena il cielo cominciava a imbiancare dalla parte di Schoenbrunn, son partito per l’Italia.
Dunque, per noi esuli quassù, per un convegno d’amore.
Le strade di Vienna si allungavano squallide e deserte, ancora punteggiate dalle lampade accese, e tra il silenzio delle case allineate e dormenti la mia vecchia automobile mi pareva avesse a tratti il fremito potente di una cento cavalli. Un’automobile, ne sono persuaso, è come una creatura umana: ha i suoi mali lievi che passano da soli e quelli inguaribili, i suoi giorni buoni e cattivi, le sue cause di gioia e di tristezza.
Quella mattina, l’anziano ma valoroso macinino andava come focoso poledro divorandosi i rettilinei e buttandosi con audace sicurezza nelle curve. Un competente direbbe: effetto del fresco e dell’aria notturna, che accrescono il rendimento del motore. Ma io sono certo che anche lui, il macinino, era felice di aver ripreso il cammino della patria, di ritrovarsi tra breve sotto il cielo dov’era venuto al mondo tutto nuòvo e lustro, ansioso di vita e di moto. E andava andava con giovanile ardore. C’era tra me e lui una comunione di sentimenti.
Avete provato mai la nostalgia della patria?
A dire il vero, questa faccenda della nostalgia mi ha fatto qualche volta ridere, e certo insuperabile attaccamento al campanile, alla piazzetta, al caffè del villaggio natio mi sembra anche oggi fenomeno d’angustia mentale. Ma capisco che, trattandosi di un sentimento, ognuno l’ha a modo suo. Un bel giorno si passa la frontiera e si guarda con grandi occhi la terra straniera, che si dispiega dinanzi; si osserva la gente; si studia gli usi e i costumi del luogo. Ciò è molto bello e interessante, e si crede che si potrebbe vivere in qualunque parte del mondo egualmente bene come in patria.
Ma non è così. Dopo un certo tempo, voi conoscete la città forestiera come la vostra, non vedete più, a cagion d’esempio, dei viennesi e delle viennesi, ma semplicemente degli uomini e delle donne; insomma, appagata che è la curiosità del nuovo, il ricordo della patria s’insinua nell’animo e si fa sentire in ogni quotidiana contingenza.
Alzate gli occhi a guardare il cielo troppo spesso imbronciato e da per sé il pensiero ricorre al nostro azzurro, che ha certo anch’esso i suoi oscuramenti e corrucci, magari improvvisi violenti e paurosi, ma che non tarda a tornar mite e sorridente.
Press’a poco come l’animo della nostra gente. Udite tutto il giorno i suoni gutturali e il cozzar di consonanti della lingua di Lutero, e vi prende alla fine come uno smanioso bisogno della favella nostra, al punto di chiudervi in stanza e mettervi a declamare poesia o prosa. Assaggiate codesti vini, coi quali si potrebbe ottimamente condire l’insalata, e il palato, che anche lui ha una sua memoria, ricorda quelli nostrani dolci abboccati e secchi, e come impregnati di sole. Vini da re, color d’ambra, d’albe rosate, di tramonti di fuoco; e se il vinaio è galantuomo, ne potete bere ad libitum per scacciare le idee nere o per aumentare la letizia, sicuri di farci sopra una memorabile dormita e di risvegliarvi il mattino seguente con la mente netta e lo spirito ben disposto.
Niente di più facile sarebbe continuare questa esemplificazione.
Non voglio però dire con questo che da noi tutto sia più bello e più buono che non di là dalle Alpi, certo no: ma sono cose nostre, e solo da fuori e alla lunga v’accorgete d’amare di cieco amore anche il meno bello e il meno buono, proprio come della donna amata si hanno cari pure i difetti, anzi precisamente quelli. Allora si comprende quei nostri connazionali andati oltre oceano a mettere insieme, scudo per scudo, il gruzzolo necessario a ritornare un giorno, non più da miserabili, in patria; si comprende come il favoloso miraggio del ritorno alla terra natia li abbia sostenuti nei lunghi anni di fatiche e di stenti.
Grande e dolce paese l’Italia, creato dal Signore, come sogliono dire i viennesi di cose riuscite a puntino, in un giorno di buon umore. E sei anche, Italia, una terribile seduttrice, che non solo ti prendi il cuore dei tuoi figli, ma conósci tutte le raffinate arti per ammaliare i forestieri, onde chi ha bevuto alla fonte della tua bellezza antica e nuova ha bisogno sempre di tornarci, quasi fosse prigioniero di un incantesimo. Tra questi forestieri innamorati meritano senza dubbio il primo posto i viennesi, e quando essi mi rievocano con enfatica e colorita loquacità le meraviglie dei loro viaggi in Italia, i loro entusiasmi mi lusingano e mi acuiscono nello stesso tempo la melanconia dell’esilio.
Ma potevo sperare, quella mattina che m’accostavo al confine, maggior fortuna?
Tirato via il velario delle tenebre, s’era mostrato un cielo azzurrino cosparso di nuvolette bianche naviganti come cigni in un chiaro specchio d acqua; e superato il passo del Semmering, al principio della discesa « in die grüne Steiermark », ci passò sul volto un alito caldo, che veniva da giù, dal tiepido Mezzogiorno.
Con quei suoi boschi superbi, quelle sue rigogliose praterie, la Stiria merita veramente l’attributo di verdeggiante e vi fa l’effetto di un immenso parco.
Le province dell’Austria erano difatti i parchi dei signoroni della Monarchia, i quali non avevano piacere che ci si lavorasse troppo di vanga e d’aratro per non snidare dalle macchie cervi caprioli e cinghiali, e non turbare le lepri scorrazzanti fra l’erba. Se facevano piantare dei campi di meliga era, più che altro, per affezionare ai luoghi i fagiani e le pernici. C’era tanto frumento e tanto foraggio nell’ondulata pianura magiara che i signoroni dell'Impero potevano ben permettersi di questi lussi!
Da molti anni in qua le cose sono purtroppo mutate e si è saggiamente provveduto a far lavorare di più l’aratro e la vanga. Ma l’occhio non s’accorge gran che del cambiamento.
Quanto alla gente, essa è rimasta come la vollero e la fecero gli Absburgo di buon accordo con i parroci e i curati. I villaggi lindi e sorridenti dalle casette a un solo piano hanno tutti la loro chiesetta bianca, dove si nota un grande via vai di fedeli, e lo svelto campanile rococò fora con la sua punta aguzza il padiglione del cielo. Lungo la strada spesso un Gesù crocifisso sotto un archetto di legno allarga le sue povere braccia scarne, e ha sempre i suoi fiori freschi di campo e magari la lampada votiva. Davanti ad uno di quei Crocifìssi vidi un vecchio pregare con le mani giunte, e così umile e rapito nella preghiera che non s’accorgeva di nessuno. E più in là, davanti a un altro Crocifisso, erano nel medesimo atteggiamento due giovani sui vent’anni, la qual cosa mi sembrò molto più importante.
Temo forte, o sanculotti insediati
con tanta baldanza nel Municipio di Vienna, che non vi riuscirà mai a convincere codesti « zucconi stiriani » a mettersi il berretto frigio della rivoluzione in luogo del cappelluccio verdognolo col pennello per la barba, simbolo sempre del buon tempo antico. La provincia non molla.
Passate le montagne russe delle Caravanche, ecco la linda e pettinata Carinzia, ecco le cilestrine acque del lago di Klagenfurt, dalle rive costellate di ville e d’alberghi.
Tra le province dell’Austria, si dice che la Carinzia sia la più allegra. Ad aver del tempo da perdere, sarebbe oltremodo interessante di ricercare come si esplicò la Controriforma da quelle parti, sottoposte allo scettro di Sua Maestà Apostolica, la quale non scherzava. Io penso che la controriforma non vi fece neppure apparizione. Certo è che se da noi gran vergogna è per una fanciulla d’avere un amante, in Carinzia è precisamente il contrario. Né una fanciulla può sperare di trovar marito se non ha provato ampiamente la sua capacità di perpetuare la specie, ragione per la quale un borgomastro dabbene, celebrando le virtù di una novella sposa, non può omettere la seguente frase sacramentale, che trova sempre gli applausi entusiastici dei presenti: « Quest’eccellente ragazza ha già messo al mondo bambini tanti ».
A una svolta, finalmente, ci salutò
il tricolore issato alto sull’antenna al vento dei monti. Pare impossibile, che intima commozione alla vista di quei tre vividi colori! E mi venne in mente quand’ero bambino che mi portavano a vedere la rivista militare il giorno dello Statuto, e il cuore batteva forte al passaggio della bandiera e della fanfara in testa ai reggimenti.
Un carabiniere s’accostò e alzò la sbarra che chiudeva la strada. Pensai a San Pietro che apre la porta del Paradiso. San Pietro avrebbe però appena socchiuso l’uscio e ci avrebbe chiesto conto dei nostri peccati, scotendo dubbioso la testa canuta.
Invece il carabiniere sorrise e disse forte salutando: avanti!
Dopo tanto passaggio di forestieri, faceva piacere anche a lui di vedere un italiano, m’intrattenne piacevolmente durante il disbrigo delle pratiche, e si scoprì che eravamo compaesani. A questo punto egli si fece pensieroso e sospirò, come talvolta accade a me di sospirare a Vienna. « Buon viaggio — augurò infine — e si ricordi di tenere la destra! ».
Così, quando più oltre l’oste cerimonioso e tentatore insisteva: «Assaggi ancora un po’ di questo Lambrusco », mi feci energico e rifiutai. Il rischio di dimenticarsi della destra era davvero troppo grande.
Massimo Caputo.

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 26.10.32

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Citazione: Massimo Caputo, “Rimpatrio dell’esule,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 15 maggio 2024, https://www.dioramagdp.unito.it/items/show/718.