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Titolo: Folgore epigrammista

Autore: Lorenzo Gigli

Data: 1932-10-19

Identificatore: 1932_456

Testo: Folgore epigrammista
Ride, si sapis. Sotto c’è il nome di Marziale. Luciano Folgore lo mette in testa al suo Libro degli epigrammi (ed. Campitelli, 1932), dov’è raccolto un ricco campionario di codesti componimenti, nei quali il nostro, ultimo della schiera non numerosissima degli epigrammisti italiani che si può far cominciare da Francesco da Barberino e dal Sacchetti, sembra continuare del poeta antico la grazia e lo spirito, ripudiandone la licenziosità. « Sunt bona, sunt mediocria, sunt mala plura — quae legis hic » avvertiva modestamente Marziale: in realtà de' suoi molti epigrammi ( n e scrisse circa 1200) pochi sono i cattivi, e stupisce; tanto è difficile trattare codesto componimento, accomodare nel giro di pochi versi una trovata, avere un concetto epigrammatico sempre ingegnoso, cogliere e rappresentare con prontezza il ridicolo delle situazioni e giovarsi di ravvicinamenti tanto più felici quanto meno aspettati. Queste doti ritornano in Luciano Folgore, perchè son doti senza le quali l’epigrammista non esiste.
Uno dei bersagli preferiti dagli epigrammisti d’ogni epoca è la donna. Marziale con le donne è feroce, spietato (ma le sue donne appartengono ad un’unica categoria e, giovani o vecchie, han tutte le stesse tare). Folgore è invece cavalleresco, le prende per mano, fa un mezzo giro di minuetto, le osserva e le punge sorridendo:
La donna bella parte alla ventura con il bagaglio della sua cultura formato spesso da una valigetta piena solo d'arnesi per toletta.
Anche quando la parola è grossa, il sorriso ne cancella il segno.
Ella mi scrive: — Dopo l'influenza perdo di tanto in tanto la coscienza. — lo così le rispondo: — Come fai a perdere, amor mio, ciò che non hai?
Codesta saggia indulgenza verso le donne è antica quanto il mito. Vedete il giudizio del marino Nettuno sulle sirene:
Quando venisti al mondo Nettun meditabondo pesò del mare il sale, poi fece il pazzerello dicendo: — Meno male, non ne manca un granello!
Bagaglio di pensieri non ingombranti, errori di conteggio sull’età, civetterie, smorfie e truccature, ecco la donna di Folgore. Il verso non è più ribelle di quanto lo sia la pittura di un carattere in una commedia goldoniana; c’è, in questi epigrammi dedicati al bel sesso, un poco di leggiadra levità madrigalesca.
Quand'esci dalla vasca ove ti bagni par che un pianto sommosso t’accompagni: son le gocce, amor mio, che ti salutano e nel lasciarli in lagrime si mutano.
Nè i ritratti delle « donne d’ogni paese e d’ogni regione » mancano di compiacenza. Si veda questa caratteristica presentazione della donna tedesca:
La tedesca vorrebbe che il destino fosse il cigno che porla Loengrino, però se il cigno si trasforma in oca Elsa non piange ma diventa cuoca.
Quanto all’amore, la sapienza e la scaltrezza umana ne han dato molte definizioni.
Scrisse un vecchio poeta del Giappone:
— L'amore è una montagna di sapone, e per restare equilibrati e sani sarà meglio lavarsene le mani.
Ma è una filosofia troppo semplicistica. Ha ragione, piuttosto, la « parigina », anche se la sua immagine sia di natura farmaceutica:
Un’attrice a Parigi ha sentenziato:
— L'amor non è che del bicarbonato, esso serve ad ogni anima avvilita per digerire il brutto della vita.
E’, ad ogni modo, la chiave per aprire la porta oltre la quale c’è la speranza, il sogno, l’ideale.
Ma le. chiari di. casa, del portone, oppur della credenza non son buone per via che all'uscio non v’è serratura ma un lucchetto con tanto di segreto e bisogna cercar nell'alfabeto la formula che serve all’apertura.
Per spalancar la porta innanzi al cuore basta che formi la parola « Amore ». Sogno di tutte le donne, condensato in un epigramma che è forse tra i più belli dell’emporio folgoriano e che si intitola « Sogno di una donna annoiata »:
Non so quel che mi piglia, la mia bocca sbadiglia eternamente.
La vita è molto sciocca eppure basterebbe un bacio solamente per chiudermi la bocca.
* * *
Qualche volta lo scherzo è troppo scoperto, il concetto troppo semplice, l’accostamento troppo facile, l’epigramma insomma ridotto ad un mero gioco di parole (... perchè i persiani, come tu ben sai, — tengono sempre chiuse le persiane). Ma, se Folgore, come ogni poeta da Omero in giù, dormitat di quando in quando, non è uomo da lasciare che il sonno gli appesantisca le palpebre e le idee. Le due serie di Parodie stanno a dimostrare la qualità del suo gusto, la solidità della sua cultura e l’autenticità del suo senso critico, e costituiscono quel panorama della poesia italiana moderna che tutti sanno. Negli Epigrammi la critica di Folgore si esercita su centri facilmente individuabili dall’opinione media (si noti che molti di essi sono nati per le rubriche umoristiche dei giornali), ma affronta anche temi più vasti o li sfiora con la delicatezza di un volo di libellula. S’è visto quanto sia lontano da lui l’abito del moralista impegnato in una missione, come pure l’abito del poeta satirico eretto a giudice e riformatore della società. C’è invece nei suoi epigrammi l’intenzione d’un gioco elegante, del quale il primo a prender diletto è il poeta medesimo, mediante trovate quasi sempre di ottimo taglio e con l’appoggio d’una tecnica così per fetta da toccare talvolta il virtuosismo. Si veda questa dichiarazione ad una bella inglese:
La tua spalla nascosta dal kimono è l’Inghilterra del pensieri miei e per toccarla (se incivil non sono) attraversar la Manica vorrei.
Ma anche l’epigramma folgoriano ha le sue punte:
Un filosofo a corto di valuta ha sposato una ricca sordomuta, adesso scrive il suo capolavoro per dimostrare che il silenzio è d’oro.
La banderuola gira tu se stessa ma resta sempre dove Dio l’ha metta e il vento che la muove e che la gira le fa solo segnar l’aria che tira.
« La fiamma è bella » dice il contadino guardando il ceppo ch’arde nel camino.
E il ceppo gli risponde dal braciere:
— Prendi il mio posto e cambierai parere.
Se un castigo improvviso del Signore paralizzasse in meno d'un minuto la sciocca lingua dell'adulatore, metà del mondo diverrebbe muto.
Uomini, il vostro errore, o brutto o bello, qualche volta deriva da un errore della natura che vi fece il cuore dieci volte più grande del cervello.
L’uomo in fondo è un ventriloquo, per cui finchè discute degli affari altrui chiacchiera solo con la bocca, mentre quando parla per sè parla col ventre.
Nell'augurare a te, bionda signora, che il sole brilli per molt’anni ancora sopra la chioma tua folla e dorata, alzo il bicchiere di cristallo fino e chiedo scusa al vino d'aver lodato l'acqua... ossigenata.
* * *
Spigolature che illustrano i diversi caratteri dell’epigrammismo folgoriano ed i limti della « commedia umana » ch’esso commenta, e di fronte alla quale i toni si alternano; nè mancano il tenero e il patetico e lo scettico, benché non siano le corde più tentate della lira di Folgore.
La vita è una commedia complicata, anzi a chiave, per essere più esatto, ma il di che questa chiave avrò trovata io fischierò dal primo all'ultim'atto.
Per ora le fischiate son piuttosto modulate, senza acredine, anzi con serenità. E la vita non manca di suggerire qualche pensiero che si muta in risate aperta e cordiale.
O come è triste, sconveniente e bruito offrire un pesce in bianco a un negro in lutto!
Dove la frase poetica ha un senso chiaro e completo, e va classificata tra quelle che meritano fortuna e che la folla assume nel suo catalogo di risolventi umoristici dei vari « problemi centrali » che assillano l'umanità.
Lorenzo Gigli.

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 19.10.32

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Citazione: Lorenzo Gigli, “Folgore epigrammista,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 15 maggio 2024, https://www.dioramagdp.unito.it/items/show/712.