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Titolo: Barbadoro

Autore: Mario Viscardini

Data: 1932-09-28

Identificatore: 1932_425

Testo: Barbadoro
Ho conosciuto quest’uomo singolare, che tutti chiamavano il Barbadoro, una ventina di anni fa, in un celebre caffè romano. Era di quei fulvi che hanno più rosso il viso del pelo; la sua barba arricciolata, cominciava allora a farsi bianca, pur conservando qualche ultimo riflesso color tramonto, che giustificava il nomignolo con cui andava contrassegnato da tempo immemore.
Aveva una faccia piuttosto camusa, un po’ strana, da cercopiteco, e dei pensieri che sovente non capiva nessuno; pareva distratto e assorto; ma i suoi occhietti, bigi ed incassati, partecipavano alla vita col brio di due primi attori. Chi fosse, di che cosa si occupasse, ben pochi lo sapevano. Egli stesso amava circondarsi di mistero, o, per meglio dire, di bubbole fantasiose che lo difendevano dalle indiscrezioni meglio che il silenzio.
Una volta, vedendomi guardato da lui con quei suoi occhietti che chiamavano a tu per tu, gli andai vicino e gli dissi:
— Come va, Barbadoro? Ti occorre nulla?
— Cerco qualcuno — mi rispose — che m’aiuti a dimenticare chi sono.
Quando era a Roma stava al caffè per tante di quelle ore che gli volevan far pagare la tassa di soggiorno. Ma poi, a un tratto, spariva per dei mesi, e dove fosse andato nessuno poteva dire; per verità la cosa non interessava affatto; poiché Barbadoro non costituiva una necessità e nemmeno un legame; solo quando era presente ci si ricordava di lui.
Al ritorno, per un po’ di tempo tutti gli erano appresso, per conoscere quali nuove stranezze avesse arzigogolato in quei viaggi, veri o immaginari, con cui giustificava le sue assenze. Egli rispondeva raccontandoci certe barzellette che avevano un tono tutto suo e che non mancavano di quella malinconia dei solitari che spesso conclude con un sospiro.
— Si, è bello viaggiare — mi disse una volta — ma bello è pure vivere in una casa dove puoi camminare a occhi chiusi.
Una dimora ce l’aveva dunque, se parlava cosi; ma nessuno ne conosceva l’indirizzo.
Dopo qualche giorno Barbadoro rientrava nell’ombra del suo riserbo, e allora non ci si accorgeva di lui che quando buttava là, nel modo più inaspettato, qualche arguzia piacevole, con quella superiore destrezza che non si dà a vedere se non lentamente, per l’involontario confronto che ne facciamo con l’abituale sciatteria.
I suoi motti lasciavano, per altro, scarsa traccia negli uditori grossolani; i quali nelle facezie altrui cercano il sale, il pepe e tutti gl’ingredienti. fuorché, naturalmente, la propria confusione. Ma gl’intenditori se ne compiacevano e quando Barbadoro voleva dir la sua porgevano l’orecchio attento.
* * *
Raramente l’udimmo pungere con motti cinici la gente inoffensiva, come usan molti che si giovan del prossimo come fosse un bersaglio fatto per loro; però, dov’era il caso, non gli mancavan le trovate feroci.
A un tal ficcanaso sconosciuto, che s’era intromesso in una discussione con una lunga chiacchierata e aveva concluso dicendo con importanza: « Questo è il mio parere », soggiunse pronto il Barbadoro: « Ora che conosciamo il vostro parere, vorremmo conoscere il vostro essere ».
E a un certo pittore che soleva chiedere prezzi favolosi per cosette mediocri e se ne pavoneggiava dicendo: « Se fossi ricco comprerei subito tutti i miei quadri », osservò Barbadoro opportunamente: « Faresti presto a diventar povero ».
Udendo al tempo della guerra un capitano imboscato che gridava: « Bisogna combattere fino all’ultimo uomo », esclamò: « Si vede che fa conto di esser l’ultimo ». E a un altro che affettava di sprezzare la morte disse: « E’ per questo che quando la incontra le volta le spalle ».
Certi suoi giudizi su artisti e scrittori del tempo non mancavano di finezza. Essendogli chiesto che ne pensasse di uno scrittore che i più trovavano greve, incomprensibile e triste, rispose: « Gli scrittori originali sono come quelli che c’insegnano un gioco nuovo; ce ne vuole prima che diventi allegro! ».
A un poeta tedioso che difendeva un suo libro, dicendogli: « Sapessi che fatica ho durato a scriverlo », rispose candidamente: « Non certo maggiore di quella che ho durato io per leggerlo ».
A un altro che lisciava strenuamente un suo bolso poema, osservò: « Bada; è come ungere un salame di cartapesta ». E offrendogli un tale con sussiego un suo libro di Poesie scelte, disse Barbadoro, dopo averlo scorso con un’occhiata: « Si vede che hai scelto le più brutte ».
Di certi dozzinali autori, che si davano un’aria di esotica lontananza, diceva il Barbadoro: « Sono come i fiammiferi svedesi che li trovi facilmente dappertutto ». E di altri che si vantavano spregiudicati di fronte alle perversioni sentenziava: « Hanno capito che, per rendere onesto il loro vizio, devono corrompere il mondo ».
* * *
L’udimmo talvolta ribattere con arguzia le lepidezze di certi sconsiderati i quali intendono la famigliarità come un diritto a essere scortesi. Egli passava a quei tempi, per certe sue idee, addirittura per comunista. Un tale balordo fece atto un giorno di prendergli il cappotto, dicendo: « In nome del comunismo lo tengo io, che ne ho bisogno ».
« Non già — rispose Barbadoro —; poiché tu fai ciò in nome del mio comuniSmo, e non del tuo ».
Si narra pure che a un chiodaiolo incallito, il quale gli doveva una certa somma, e invece di pagar gl’interessi, gli mandava a casa dei mazzi di fiori per la ricorrenza del suo onomastico, recapitasse Barbadoro un bigliettino che diceva: « Grazie dei fiori. Attendo i frutti ».
Un giorno mi annunziò che andava a ritirarsi in montagna. Gli chiesi il motivo e mi rispose: « Che vuoi! Sono così presbite che non vedo bene che a venti chilometri di distanza ».
E azzardandomi a chiedergli come trovava i mezzi per vivere, mi disse: « La gente non vuol credere che io son povero, e continua a prestarmi denari ».
Ai filosofanti poco espèrti preparava curiose trappole. Udendo un tale, pessimista e orgoglioso, che ostentava un supremo disprezzo del genere umano, gli chiese: « Credi tu di valere alcunché? ». E vedendolo perplesso a rispondere, soggiunse: «Che puoi valere tu, se tutto il mondo non val nulla? E se non vali, come puoi presumere di farti giudice dell’universo? ».
Trovandosi in un gruppo di artisti e letterati i quali altro non facevano che dir male uno dell’altro, Barbadoro sentenziò: « Costoro sono certamente somari; o perché tali si definiscono, o perché non si sanno giudicare ».
Non rifuggiva talora Barbadoro dalle burle innocue, pur avversando risolutamente ogni beffa che lasciasse la gente scornata. Un giorno entrando al caffè, avvicinò un gruppo d’amici, che si vantavano parecchio scaltri e gridò loro: « Accorrete! Ho visto or ora un uomo con tre teste! ». Non furon pochi a precipitarsi nella strada, dove scorsero un garzone di macellaio che portava sulle spalle un bastone con due teste di vitello infilate agli estremi.
Altra volta lasciò credere a un chimico straniero che la Grotta Azzurra di Capri fosse un trucco; la colorivano gettando in mare dei barili di blu di Berlino; e quello se n’andò al Ministero per averne la fornitura.
Con piacevole destrezza ribatteva le facezie degli altri. Un giorno il parrucchiere a cui Barbadoro faceva urgenza esclamò, indicando le immagini riflesse negli specchi: « Vedete, siamo in cento a servirvi! ». Barbadoro se ne stette zitto; ma quando si trattò di pagare, gli porse un soldo e disse: « Vedete, siamo in cento a pagarvi ».
Altrove gli accadde di donare una moneta falsa a un mendicante noioso che non si peritava di mandare accidenti a chi lo lasciava senz’obolo. Lo sciagurato, che s’era già speso in ringraziamenti, lo rincorse zoppicando e gridando: « Ehi, ehi! Questi soldi sono falsi ». E Barbadoro di rimando: « Anche le tue benedizioni! ».
Domandandogli alcuno per qual motivo gli uomini di spirito siano solitamente tristi, rispose: « Perché non si divertono con lo spirito degli altri ». E richiesto della ragione del suo abituale silenzio, disse che reprimeva le frasi inutili per dar forza a quelle necessarie.
Molti altri motti udimmo da lui, garbati e sentenziosi; ma ci ricordiamo in tempo di averlo inteso dire che le arguzie sonò frutta delicate, le quali si guastano facilmente durante il trasporto; e non vorremmo tradirne gl’ insegnamenti nell’ atto medesimo di esporli.
Mario Viscardini.

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 28.09.32

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Citazione: Mario Viscardini, “Barbadoro,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 15 maggio 2024, https://www.dioramagdp.unito.it/items/show/681.