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Titolo: Elpidio Jenco

Autore: Non firmato (Lorenzo Gigli)

Data: 1932-08-31

Identificatore: 1932_394

Testo: GALLERIA
Elpidio Jenco
Un poeta, oggi, del dolore. Fu prima, in Acquemarine, uno spettatore attonito e maravigliato dello spettacolo quotidiano offertogli dal mondo, dalle albe che si rinnovano con freschezza eterna, dalle sere che cadono con uguale malinconia, dalle stelle che s’accendono nella volta celeste come fuochi di Dio. Il canto del poeta saliva in nuvole di incenso verso il trono di Colui che presiede a tanto sempiterno miracolo e che lo ripete ogni giorno per gli uomini distratti e immemori, affogati nella consuetudine condannati alla mediocrità. Il poeta riscatta tutte le debolezze e le colpe, alza per tutti il suo inno-preghiera, sgrana i rosari delle sue immagini ad esprimere la maraviglia che lo possiede. Alla poesia cosmica del Pascoli non ci si può richiamare nel caso di Elpidio Jenco se non per alludere a una sua ricca e matura esperienza tecnica; lo sgomento pascolia no, che tocca talvolta i vertici della disperazione e si risolve in romantici ripensamenti dell’umana gracilità e impotenza, non è riferibile all’atteggiamento del nostro che si trova, per, cosi dire, in uno stato favoloso di grazia, per cui l'anima s’abbandona all'avventura ultrasensibile e s’affonda nei cieli beata. Poi un grande dolore ha sconvolto la sua vita, e il canzoniere odierno, Cenere azzurra (impresso per, le edizioni d’Augustea nel Regio Istituto del Libro in Urbino, come dire un’opera d’arte tipografica), ne consacra l’umana sostanza. Il passaggio di Elpidio Jenco dalla poesia della meraviglia cosmica alla poesia del dolore è stato sottilmente analizzato da Aldo Capasso il quale ha portato la sua attenzione anche sul problema tecnico, a tutta prima quasi insolubile, perchè il poeta si trovava a dover esprimere il dolore attraverso un linguaggio iridescente che comporta la sensibilità a fenomeni minuti e godibili: « il poeta, subito dopo il dolore grande e improvviso, si è trovato, egli, padrone d'una tecnica assai ricca, a dover abbandonare le sue forme, adatte alla lirica gioiosa e immemore, e dover trovare il modo di crearne altre, attraverso la modificazione delle prime »; processo difficilissimo che non poteva svolgersi senza contrasti e travagli. Ma Cenere azzurra, se di questi contrasti e trava gli documenta la disciplina, mostra anche come il poeta abbia attinta, risvegliandosi sotto il fiero colpo dal suo stato di beatitudine panica, le vette dell’elegia, abbia colto il senso dell’eterno attraverso la morte. Il fenomeno è quello medesimo del flore che cade quando passa la falce: qui è stata falciata una giovinezza, è andato via un angelo dopo aver messo le ali, e il mondo prima si splendente s’è fatto oscuro e diserto. Il canzoniere porta in fronte un nome di fanciulla, Ofelia d'Alba, che due poesie, quella del padre e quella dell'uomo che l’amò, oggi fissano in immagini non più terrene. Per Elpidio Jenco l’apertura ai canti, l'iniziazione al compianto, si traduce in un addio alla giovinezza il cui ciclo su quel dolore si chiude: è ferita che dorrà per quanto duri il vivere. «... T’amai sì forte — che t'amo anche ora che, forse, tu, — di là dal grigio fiume di morte — sorda al mio pianto, non m’odi più ». Giusto che queste prime elegie s’intitolino al « transito d'un usignolo ». Giusto che vi trasvolino ombre di fiori («... e i giacinti celesti — mi ricordano il suo sorriso — quando, senza parole nè gesti, — mi parlava del Paradiso... »). Giusto che il pianto del giorno d’autunno cada sul colombario « come da occhi d'amore ». Sentiamo in queste liriche una creatura tremare. « ansia viva di ciò che germoglia, — forza in ombra di fioriture promesse » chè, se anche spente per sempre dalla morte, il loro presentimento fu una ragione di vita, e oggi di poesia. « Il tuo corpo era una musica di piume. — Di te più non vedevo — che languore d’occhi e sorriso... ». Nella seconda parte del volume, gruppi di liriche precedenti la morte d’Ofelia ci riportano allo stupore Cosmico del poeta di Acquemarine (si vedano particolarmente Amor di silenzio, Trapasso, Rugiada, Poesia), ed è ritorno ad un'anima senza peso, ad una felicità di canti sorgivi.

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 31.08.32

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Citazione: Non firmato (Lorenzo Gigli), “Elpidio Jenco,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 15 maggio 2024, https://www.dioramagdp.unito.it/items/show/650.