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Titolo: Lungo il mare

Autore: Giovanni Comisso

Data: 1932-07-27

Identificatore: 1932_337

Testo: Lungo il mare
Camminando lungo il mare ho visto come la bassa marea avesse disseminata la sabbia, appena prosciugata, di innumerevoli conchiglie e granchi, in parte già morti. Molte conchiglie nell’estremo desiderio dell’acqua erano riescite a compiere, strisciando come lumache, un breve tratto e poi sfinite e battute dal sole s’erano dischiuse ed erano morte. I granchi invece avevano accettato la morte senza disperazione: dovevano essere i vecchi, i logori, quelli che certamente avevano finito il loro compito, perché con tutte le loro zampe, se avessero voluto, avrebbero potuto raggiungere l’onda che si ritirava. Questa decimazione voluta dalla bassa marea si compie regolarmente tutte le mattine, ma per gli uomini che a passo svelto vanno al lavoro degli orti, verso la foce del fiume, questa morte muta e periodica non offre alcuna attenzione, neanche quella dell’utile.
Vanno questi uomini scalzi dalle gambe massicce, dai piedi lunghi che lasciano sulla sabbia profonde impronte, verso gli orti che essi hanno creato opponendosi con canneti al vento e alla sabbia, sul lembo di terra emerso tra la laguna e il mare. Questa terra da prima fu sabbia: una sabbia formata da minuti frammenti di conchiglie morte da secoli, logorate e frante dalle onde, impastati con decomposizioni d’alghe, di altri pesci morti e dell’hutnus che il fiume trasporta alla foce. Abitano questi uomini davanti al mare, ma non hanno barche per navigare; il loro principale lavoro è quello degli orti. Pochi di loro si dedicano alla pesca sulla laguna ed altri a quella del pesce novello: pesca questa che compiono immergendo le gambe appena fino al ginocchio. Strana gente: impaurita dal mare come per antiche ragioni, occupa tutto il giorno e parte anche della notte all’assidua fatica degli orti. S’alzano d’estate verso le due di notte e cam minando lungo il mare per parecchi chilometri arrivano ai loro terreni. Nascosti tra i canneti che li separano, stanno quasi profondi gli orti coltivati a tutta la più bella ortaglia che qui matura in anticipo di quasi mezza stagione.
Curvi gli uomini aiutati dalle loro donne stanno sulle gombine come intenti ad osservare il lento evolversi delle piante. Si sentono le loro voci di tanto in tanto sorgere e diffondersi ondulate come in armonia col vento che viene dal mare. Le loro donne, nascosto il capo sotto ad un largo cappello di paglia nera, sono forti e pesanti nel passo. Hanno grandi occhi avidi e neri nel grosso volto, vestono di scuro e l’ampia sottana al ritorno dal lavoro si agita mossa dal passo che sostiene le grosse anche. Ritornano a gruppi celeri e saldi contro l’orizzonte del mare, camminando proprio sul limite dove l’onda si ferma, e le loro impronte calcate dalla forza del corpo resistono sulla umida sabbia, che vorrebbe uguagliare levigata la riva. Le loro case stanno tutte dietro ad una diga di pietre, che le ripara dalla sabbia che s’accumula al vento d’inverno. Sono case isolate le une dalle altre, strette ed alte, rosa o gialline, formanti brevi calli e piccole piazze dove grandi teloni tesi davanti alle osterie danno ombra e frescura. L’aria calda tiene i bambini distesi per terra come fossero ubriachi. Acuto è il sentore delle cipolle accatastate lungo le calli e sotto l’ampia tettoia de! mercato che dà sulla laguna, dove le barche attendono di venir caricate per andare alla città vicina. Questa gente non teme il lavoro, ma appena si concede nei giorni di festa un pomeriggio di riposo, subito è pronta ad isolarsi in piccoli gruppi nascosti in nicchie tra le dune incespugliate di arido verde, per giuocare accanitamente alle carte. Dissipano cosi all’azzardo i guadagni dati dai loro prodotti preziosi, come per un’irruente rivolta alla servitù di ogni giorno. E sostengono il giuoco con lo stesso accanimento al lavoro, quasi che tutti i loro estri di vivere dipendano solo dalla struttura del corpo possente e risoluto. Congiunti alla città vicina da un lungo ponte, non somigliano né per il corpo, né per la cadenza del parlare, né per temperamento agli abitanti di quella. Essendo essi gelosi delle loro donne, i matrimoni si stringono sempre tra paesani e i loro cognomi sono pochissimo diversi, cosicché per distinguersi si servono di soprannomi ispirati dalla statura, dai difetti, dai segni particolari o dalla qualità di ortaglia di preferenza coltivata. Per questioni di giuoco, per mezze parole ritenute offensive, per torti reali o imaginari sovente si improvvisano tra loro violente risse, dove chi arriva ad essere colpito in pieno da un pugno difficilmente riesce a conservarsi la vita. Le alte case isolate e sottili viste dal ponte sulla laguna appaiono, affiancate le une alle altre, come velieri ritirati in secca, ma non è natura dei loro abitanti il navigare.
Camminando lungo il mare, osservavo un po’ avanti nell’acqua bassa per la marea che si ritirava altre schiere di granchi. Dotati di vista acutissima e forse di altro senso per cui le vibrazioni dell’acqua date dai miei passi erano subito avvertite, essi si ritraevano tenendo in posizione di minaccia le loro tenaglie. Se mi fermavo, ritornavano cautamente e di scatto tentavano di mordermi il bianco dei piedi. Se poi col dito mi difendevo battendoli sulla crosta del dorso, in un attimo si scavavano una nicchia nella sabbia scomparendovi astuti. Qualcuno se ne andava tenendo rapacemente stretta fra le zampe adunche la femmina prescelta e se lo minacciavo col dito, senza lasciare la preda d’amore scavava la sabbia e vi scomparivano uniti.
Adagiata tra una ruga e l’altra del fondo, disegnato tutto così dal variare lento delle brevissime onde, scorsi una cappalunga che nell’agitarsi dell’acqua cercava, protraendo fuori del guscio un bianco tentacolo, di trivellare la sabbia e scomparirvi, come presentisse attorno il pericolo dei granchi avidi, possenti e armati delle loro tenaglie. Difatti uno aveva avvertito la presenza della preda e s’avvicinava. Individuato il tentacolo, che tra il variare dell’onda non riesciva a far presa sulla sabbia, di scatto si precipitò sopra, ne azzannò l’apice e immise feroce gli aculei delle zampe nel taglio del guscio. L’altra stringeva su se stessa con tutta la sua forza le valve e al granchio non fu possibile strapparle che la punta del tentacolo. Soddisfatto di questo, lo vidi andarsene lento sotto la limpidezza dell’acqua illuminata dal sole; e appressava di tanto in tanto alla bocca la polpa saporosa trattenuta da una delle tenaglie, col gesto dei coltivatori degli orti, quando nell’alto meriggio, seduti ad una breve ombra, avidi e goffi, si gonfiano di polenta.
Giovanni Comisso.

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 27.07.32

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Citazione: Giovanni Comisso, “Lungo il mare,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 15 maggio 2024, https://www.dioramagdp.unito.it/items/show/593.