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Titolo: Silvio d’Amico

Autore: Non firmato (Lorenzo Gigli)

Data: 1932-04-20

Identificatore: 1932_199

Testo: GALLERIA
Silvio d’Amico
Le certezze di Silvio d’Amico? La fede, la romanità cattolica, l’ordine, la tradizione. Aprile il suo libro uscito in questi giorni e intitolato, appunto, Certezze (Ed. Treves Treccani Tumminelli, Milano - L. 12): nel primo capitolo, « San Pietro o della certezza », la maggiore chiesa della cristianità è assunta a rappresentare la fede pacata che non tanto crede quanto sa:
« sa che di là c’è Dio, come adesso io nel silenzio della mia sera so che oltre questo muro respirano i figli miei: la fede perduta da questo nostro mal sottile, che si compiace del dubbio e teme che, col suo fascino, abbia a sparire la poesia della morte ». Si, col dubbio si posson mettere insieme le liriche del nostro rabbrividito Pascoli, o di Maeterlinck; « mà con la certezza del Dilà altri ha scritto la Divina Commedia ». Felice di questa sua certezza, chiuso in essa come in un’armatura che non vuol però significare astrazione dalla realtà terrena e orgoglio di privilegio, D'Amico usa contro gli avversari l’indulgenza e la carità, sorride del loro errore senza sdegnarsene nè impostar la polemica in termini di violenza. La sua polemica non ama le parole grosse. Sì, è vero, il Carducci ha brontolato contro il cruciato Martire, in nome della civiltà mediterranea:
« Tuoi templi il sole escludono ». Una bestemmia. D’Amico la ribatte con queste armi: « Caro, onesto e sbrigativo Carducci: s’era dimenticato di tutte le chiese romane, e del loro capolavoro, San Pietro ». Lo spettacolo è tale, dall’alto della cupola, che tutte le velleità di battaglia si spengono e le lotte degli uomini son travagli di formiche:
« Qui le immagini muoiono e i paragoni non sono possibili. Chè, se dalla torre Eiffel si vede Parigi o dal Woolworth si contempla New York, qui lo spirito corre infinitamente più lontano: e il panorama non è la città, ma il mondo ». Da questa immutabile Roma tutto quel che si contempla è in funzione dell'Assoluto: la solitudine di D’Annunzio (sul poeta e sull’atteggiamento della nuova generazione ne' suoi confronti si leggono nel volume pagine, per nostro conto, definitive), la morale corrente, gl’ideali, le inquietudini e le virtù d’oggi (quali virtù? « Isolate fuori del Cristianesimo anche le virtù son di ventate flagelli »), la poesia, la letteratura, il teatro, la scienza. Parlando di Giulio Verne, il D'Amico dice che in un'età la quale parve credere solamente nella Scienza con la S maiuscola.
« Verne fu tra i pochi che riuscirono a mettere serenamente d’accordo l'esasperazione di questa nuova fede con l’eterna fede in Dio ». Dunque un cercatore di certezze anche lui, questo bravo e onesto scrittore caro alla nostra infanzia Gli altri, sì. son cercatori di tutt’altra grana, son servi di Dio nella contemplazione e nell’attività, nella preghiera e nel sacrificio, nell’azione e nella poesia, Savonarola e Pio X, Pellico e Manzoni, la certezza dei semplici pellegrini di Lourdes e la certezza di Papini, di Chesterton, di Belloc, di Claudel, di Jacques Rivière. Roma, laggiù, è il faro delle genti, al quale guardano il raffinato e il pastore della steppa, incantati in egual modo a pensare attraverso le lontananze che « nella tacita reggia dell’undicimila camere, inaccessibile alle vanità del tempo, a colloquio con l’Immutabile, sta il Vicario di Dio ». Alcuni di questi cercatori di verità s’erano un giorno trincerati dietro obiezioni di altra nobiltà che non le vecchie formole demomassoniche dell’irreligiosità anticlericale, beotissima e ridicola; erano spiriti assetati di luce, e l’ebbero, come il pastore ignaro, come il contadino che va in pellegrinaggio, come la donnetta che prega nella chiesa del paese. Trovarono la certezza, « non la quiete ignava, ch'è tutt’altra cosa ».
« Interpretazione del Messico »: disegno' di Diego Rivera dal volume Messico di Emilio Cecchi uscito in questi giorni nelle edizioni Treves Treccani Tumminelli. L’itinerario del Cecchi si rifà da quelle «città abbandonate» nelle regioni delle vecchie e inaridite miniere che sono, per così dire, le vestigia del periodo detto della « febbre dell’oro », la cui conoscenza è fondamentale per intendere la psicologia e la storia americana.

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 20.04.32

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Citazione: Non firmato (Lorenzo Gigli), “Silvio d’Amico,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 14 maggio 2024, https://www.dioramagdp.unito.it/items/show/455.