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Titolo: Avventura di viaggio aerea

Autore: Ettore De Zuani

Data: 1932-04-20

Identificatore: 1932_198

Testo: Avventura di viaggio
aerea
Partivo in idroplano da Ostia per Siracusa, alle sette del mattino, ed ero stato l’ultimo a prendere il caffè, scottandomi la lingua, al bar dell’idroscalo; mi precipitai in fretta sulla passerella che porta alla cabina e, guardate un po’ che fortune càpitano ai ritardatari, mi accorsi che i cari compagni di viaggio mi avevano lasciato libero pròprio il posto accanto alla bella donna che avevo appena intravista fuori negli ultimi momenti di attesa.
Se la signora (o la signorina) non soffre il mal d’aria, se non ha nausee violente, pensai subito, questa è la volta che tento l’avventura di viaggio aerea. E lì per lì, mentre mi mettevo il cotone negli orecchi e mi accomodavo nella mia poltrona di vimini, con un occhio alla carta di rotta spiegata sulle ginocchia e un altro alla bella sconosciuta che mi sedeva accanto un po' pallida e immobile, mi sentii felice come quando da ragazzo uscii la prima volta fuori porta con una mia compagna di scuola che amavo.
— Arrivederci! Buon viaggio — ci gridarono da terra; ma le parole furono portate via dai soffi temporaleschi dell’elica, e il rombo del motore, ch’era scoppiato improvviso e fragoroso, si fece sordo e lontano.
Eravamo già su; l’acqua grigia del Tevere spariva sotto veloce e ci veniva incontro quella verde del mare; e là in fondo, da una riga rossa di luce verso la quale andavamo noi, spuntava il sole.
* * *
Nella cabina eravamo in otto, al completo: due vecchi signori che tinuavano a frugarsi negli orecchi per tapparseli bene col cotone; un giovanottino con un bell’abito da gran turismo che guardava fuori attentissimo, con tutt’e due le mani fortemente appoggiate ai braccioli della poltrona di vimini; un ufficiale coloniale; pratico di voli, che sfogliava un giornale illustrato, e due altri ometti insignificanti che si appisolarono subito masticando i confetti di gomma che avevano trovato nella usta con la carta di rotta e il cotone.
Io e la mia compagna ci spiavamo con la coda dell’occhio; i braccioli delle poltrone si toccavano e i nostri gomiti erano lì, pronti a sfiorarsi; ci mancava pochissimo, ma ancora nessuno osava muoversi; toccherebbe a me, pensavo, ma mi pareva dolce anche attendere; intanto studiavo; e passavo dall’azzurro della carta geografica, attraversata da una velocissima retta che univa Roma a Siracusa, al volto di lei. Era giovane e bionda, elegante e sottile, e negli occhi aveva una bellissima luce; guardava fuori, poi lontano, chi sa dove, poi dentro di sé, abbassando lievemente le palpebre come se pro vasse a sognare.
Pareva contenta di essere in cielo; sorrideva, respirava forte con tutt’e due i seni e le tremava un poco il labbro inferiore. Provai a sorriderle anch’io, piegando il capo verso il suo, come per guardar fuori con lei e sperando che traducesse il mio sorriso in cortesi parole d’incoraggiamento: « Non abbia paura, signorina; il pilota è bravo; son tutti bravi i piloti; e poi ci sono qui io; e quando si vola vicini così si è sempre sicuri ».
Non capì e continuò a guardare il vetro tondo dello sportello. Doveva essere una signorina molto per bene, di quelle che non cedono al primo invito e se lo fanno ripetere varie Vòlte arrossendo. Eppure, pensavo, quassù sospesi nell’aria siamo sulla via dell’avventura meglio che in terra; più leggeri, meno corazzati, più disposti a credere a tutto, anche all’amore improvviso. Siamo tutt’e due in un’altra vita che è cominciata nuova e ingenua quando l’apparecchio si è staccato dall’acqua, si è sollevato libero verso il cielo ed è entrato nell’atmosfera magica del volo. Non ci conosciamo neppure, ma siamo vicinissimi, legati per tre o quattr’ore a uno stesso destino; tanto più vicini, anzi, in quanto non possiamo parlare; ed è il silenzio che crea l’amore.
Se fossimo stati in treno o in automobile, oh allora le avrei detto subito quel che si dice sempre a una bella donna in simili occasioni: se va lontana; e poi il fumo; se a Roma conosce questo o quello, se le disturba l’aria, eccetera eccetera. Così invece, niente. Muti tutt’e due, costretti a tacere dalla prepotenza del motore; e chissà magari che belle cose aveva da dirmi lei, e con che voce armoniosa. Forse avremmo cominciato in un modo diversissimo dal solito, subito con parole piene di poesia, con uno scoppio di passióne, con un grido dell’anima che ha trovato finalmente la sua gemella. Con quel cotone negli orecchi, invece, eccoci lì quieti quieti, come in castigo;
Eppure, in fondo in fondo, ero quasi contento di non dover dire nulla; perché le avventure di viaggio, sì, sono belle, ma se si pensa che quando si è cominciato bisogna poi continuare a dire cose graziose e gentili per delle lunghe ore di seguito, qualche volta anche per una giornata intera, molto meglio allora l’aeroplano; ci si compromette meno, ed è più facile fare all’amore.
* * *
Ora la luce piena del giorno era tutta sui nostri visi; veniva dal cielo e dal mare; riempiva d'azzurro la cabina, si fermava sugli occhi attoniti dei due vecchietti che parevano ringiovaniti, brillava sui vetri dei quadretti réclame appesi tutt’in giro (bambini golosi che addentano enormi tavolette di cioccolata, impermeabili che sfidano bufere, babbi felici che tornano a casa tre per tre con una valigetta di caramelle ciascuno, alberghi a dieci piani e a mille finestre, travel's cheques utilissimi a. tutti i viaggiatori) e riscaldava noi due, docili e buoni come fidanzati, noi due insieme con lo stesso raggio.
Con la luce sfolgorante entrò nella nostra cabina anche la gioia; ormai anche i nostri due gomiti si toccavano; chi era stato il primo ad accostare il proprio braccio, a cercare l’altro per sentirselo più vicino? Giuro che non lo so. Ricordo solo che a un tratto, mentre volavamo sopra l’isola di Capri, sentii dentro un tepore nuovo, morbido come una lunga carezza, e mi accorsi che qualche cosa mi univa alla mia compagna di viaggio.
Nessuno dei due dava a vedere di averlo fatto apposta; se io la guardavo, i suoi occhi andavano via, fuori, in cielo; se abbassavo un poco i miei e poi li risollevavo a tradimento, per salire d’improvviso al segreto del suo viso, ella socchiudeva le palpebre e sorrideva assente; forse felice di sentirsi amare così, forse in attesa che qualche fatto nuovo venisse ad animare quel silenzio magico.
Ma che cosa avrei potuto dirle? Avrei dovuto gridare per farmi sentire:
— Signorinaaa! Io l’amooo!
Un urlo d’amore fra cielo e mare, come nelle opera. Chissà che scandalo; mi avrebbero udito tutti, anche i piloti, il motorista, il radiotelegrafista; e chissà che rabbia, quel giovanottino col bell’abito da turista che ora si voltava ogni tanto indietro e m’invidiava il posto. Poi certe cose bisogna dirle piano, a mezza voce, perché se no, a gridarle, perdono tutto il loro sapore di trepida intimità.
E lei che cosa mi avrebbe risposto?
— Ne parli a mia mamma quando arriviamo!
— A chi? — avrei urlato io togliendomi magari il cotone dagli orecchi.
— A mia mammaaaa!
Un dialogo impossibile, insomma. Scrivere, allora, come si fa di solito in aeroplano; scrivere a matita sulla busta dei confetti di gomma e del cotone, ma che cosa? Un semplice appunto o addirittura una dichiarazione? Mi veniva da ridere.
E intanto il suo calore diventava a poco a poco sempre più mio; si vede che il cuore, non potendo salire alle labbra, andava al gomito; lo sentivo cosi tenero, cosi morbido, che mi pareva senza osso; e quando l’apparecchio dava un balzo più forte, scavalcando le raffiche di vento che in cielo s’incontrano da un momento all’altro, anche quando tutto è sereno, era come se ci cadessimo fra le braccia; appena invece ci toccavamo; ma più vicini dei nostri gomiti uniti, stretti, saldi come gli stessi braccioli delle poltrone, erano ormai i nostri pensieri. Continuavamo a non guardarci, ma era come se ci vedessimo tutt’e due dentro uno specchio.
E se non scendessimo più? — fantasticavo io. E se continuassimo a volare anche col buio, anche quando viene la notte?
Mi sarebbe bastato allungare le gambe, stendermi un poco, posare indietro il capo per trovarmi come a letto; e lei pure; saremmo stati vicini anche nel sonno, vicini e felici come due sposi.
* * *
Una riga bruna era intanto apparsa all’orizzonte: la Sicilia. Feci un cenno con la mano laggiù dove appariva il fumo dellta terra, poi indicai l’isola sulla carta e per la prima volta i nostri sguardi s’incontrarono; avevamo scoperta insieme la Sicilia ed ella batté le mani con gioia; poi il suo gomito, riconoscente, riprese il posto di prima, ancora vicino al mio.
Volammo sullo Stretto, con grandi sbalzi, tagliando di traverso le impetuose correnti; poi ci venne incontro l’Etna, coperto di neve, servito tutto bianco su un piatto di nuvole grigie; poi entrammo di nuovo nell’azzurro sul golfo di Augusta e finalmente giù giù verso l’ultima punta: Siracusa.
Sfioravamo già l’acqua; due, tre colpi, come se l’apparecchio avesse urtato contro dei paracarri, poi il motore tacque d’improvviso e noi ci sentimmo cullare dolcemente come in barca, come in gondola.
Ci svegliammo come da un sogno; ora anche il silenzio pareva pieno di rombi lontani; io ero al mio posto, la mia compagna, fredda, indifferente, al suo; e i gomiti più non si toccavano.
Uscimmo uno dopo l’altro. Fuori c’era molta gente; genitori, fratelli, zii, tutti aspettavano la bella parente che veniva dal cielo; ella si precipitò nelle braccia di ciascuno e si levò intorno un coro di saluti festosi: « Hai avuto paura? Hai sofferto? Hai vomitato? », le chiese il fratellino più piccolo.
Poi andarono tutti via e io ripartii solo per Malta.
Ettore De Zuani.

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 20.04.32

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Citazione: Ettore De Zuani, “Avventura di viaggio aerea,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 14 maggio 2024, https://www.dioramagdp.unito.it/items/show/454.