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Titolo: Storielle tripoline

Autore: Francesco Lanza

Data: 1932-03-23

Identificatore: 1932_164

Testo: Storielle tripoline
Abdussalam
Il vecchio Abdussalam ci vedeva poco da un occhio e dall’altro meno, gli mancava una mano ed era storpio delle gambe, e nel corpo tutto pieno di piaghe. Ogni giorno egli si faceva trascinare nella moschea, e accoccolatosi sulla stuoia, pregava con voce lamentosa:
— Allah grande, Allah il più grande! Ascolta la preghiera del tuo povero servo Abdussalam. Ridammi la vista per ammirare la magnificenza delle tue opere, le gambe per camminare come il cammello nel deserto, liberami dalle piaghe che non mi fanno dormire, e se ti è possibile fammi avere come una volta la mano, che è quella che tiene la falce e afferra le redini.
Abdul-Nebi, che un giorno gli stava seduto vicino, lo guardò da ogni parte a quelle parole, e gli disse:
— Perché rompi le orecchie ad Allah? E’ più facile che egli ne faccia uno nuovo, che aggiustar te.
La zumita
Mobamed, Mraied e Muctar dovevano prepararsi la zumita; ma non avevano acqua né brocca per prenderla. Disse allora Mohamed:
— Date qua, che mi butto io nel pozzo, e vado ad impastarla.
Mise la farina d’orzo nel sacchetto idi pelle che teneva al fianco, e salito sul pozzo si lasciò andar giù, come una pietra, con un gran tonfo. Passò il tempo ed egli non tornava, tanto che gli altri s’insospettirono.
— Alfah sia lodato, vuoi vedere che Mohamed si mangia lui solo la zumita per non darne a noi?
— Aspetta qua — disse Mraied — che ci vado io e lo riporto su per il collo.
Salì sul pozzo e si lasciò andar giù anche lui, come un uccello. Passò il tempo e neppure lui tornava.
— Per Allah! — disse Muctar — i cani si sori messi d’accordo e si mangiano da soli la zumita senza lasciarmene una briciola. Ma ora ci vado io e vedrai che baruffa.
Salì sul pozzo e anche lui, con un salto, andò a raggiungere gli altri due nel fondo.
Le scarpette di carta
La sorella di Mustafà era vedova, ma ancor giovane e bella, e si consolava con un uomo di Sliten, che aveva il burnus rosso e capitava in casa...
Una volta, il piccolo Mustafà, che era furbo e curioso, vide per la porta socchiusa un lembo del burnus sulla stuoia, e Una gamba di lei con la scarpetta che le pendeva dal pie de. Qualche giorno dopo essa lo chiamò e, dandogli tre monete d’argento, gli disse:
— Mustafà, va al mercato e comprami un paio di scarpette le più belle.
Mustafà prese le monete e invece che al mercato se ne andò al caffè con gli amici. Comprò poi dall’ebreo un paio di scarpe da pochi soldi e le portò a lei.
Come le vide, piena d’ira essa gli disse:
— Che Allah ti confonda! Sono queste le più belle scarpe del suk, da tre monete? Non vedi che sono di carta, sciocco che sei?
E lui:
— Per l’uso che devi farne dureranno più del burnus di Sliten.
Il pozzo
Mohamed se ne andò con la ghirba a prendere l’acqua al pozzo, che era a quattro ore di cammino. Arrivato, stanco, sudato, guardò la ghirba, guardò il pozzo e disse:
— Se riempio la ghirba, l’acqua basterà appena per mio padre e mia madre, e mia moglie e i miei figli morranno tutti di sete prima che torn: nuovamente a prenderla. Sarà meglio portare tutto il pozzo e così avremo sempre l’acqua in casa, senza bisogno d’andare e venire.
Subito si mise a scavare la sabbia con le mani e il falcetto, per scalzare il pozzo e portarselo via sulle spalle. Passò il giorno, venne la sera, tornò il mattino sulle palme ed egli era sempre là a scavare. Arrivò Omar col cammello e, vedendolo, gli domandò:
— Che fai, Mohamed?
— Voglio portarmi il pozzo a casa, ché cosi avremo l’acqua senza fare la strada con la ghirba, e non patiremo più la sete.
— Bravo, Mohamed — disse Omar — e intanto che scalzavi il pozzo per portarlo via sulle spalle, tutti a casa tua sono morti di sete!
Il rasoio
Alì non aveva di che mangiare e, preso il rasoio col quale il padre gli radeva i capelli intorno al ciuffo, se ne andò alla caccia, pensando:
— Incontrerò un uccello, lo prenderò per le ali e, volto a levante dove il sole esce dalla manica del Profeta, gli taglierò con questo la gola, lo mangerò e per oggi non avrò più fame.
Camminò, e finalmente vide un corvo su una palma. Si avvicinò contento e gli disse:
— Aspetta che ora ti prendo e ti taglierò la gola, cosi — e per fargli vedere come, col rasoio che aveva in mano si tagliò lui d’un colpo la gola.
Ghibuà ghibuà
Mustafà e i suoi amici erano seduti al caffè e guardavano la folla. Passarono alcune donne di buona condizione, col baracano di seta chiuso fino alla fronte e le pantofoline ricamate.
- Vedete, fra queste donne — disse Mustafà — ce n’è una più pazza e sciocca delle altre.
— Come fai a saperlo? —domandarono gli amici.
— Ora vedrete — disse Mustafà.
Si alzò e, levando i1 braccio verso
le donne, come per indicarne una, si mise a gridare a squarciagola:
— Ghibuà, ghibuà! (è pazza, è pazza! ).
Le donne affrettarono il passo e ad un tratto una, come Mustafà continuava a gridare, staccandosi dalle compagne, si volse a lui e gli disse:
— L’hai con me, scimmia, che urli al vento? Il pazzo sarai tu e non io.
Mustafà e gli amici scoppiarono a ridere e la donna, che con le sue parole aveva mostrato d’essere più pazza e sciocca delle altre, raggiunse scornata le compagne.
Francesco Lenza.

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 23.03.32

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Citazione: Francesco Lanza, “Storielle tripoline,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 14 maggio 2024, https://www.dioramagdp.unito.it/items/show/420.