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Titolo: Quattrocentomila biciclette

Autore: San Lazzaro

Data: 1939-07-12

Identificatore: 1939_203

Testo: Viaggio in Danimarca
Quattrocentomila
biciclette
(Dal nostro inviato speciale)
Copenaghen, luglio
Gli ottocentocinquantamila abitanti di Copenaghen posseggono quattrocentomila biciclette, di cui una buona metà almeno sarebbe destinata a tormentare la natura sentimentale del sesso cosiddetto « forte », se esso non si fosse, molto opportunamente, neutralizzato.
Impossibile fermarsi in istrada a guardare le belle ragazze che passano. Le belle ragazze filano più veloci delle valchirie che volavano, come tutti sanno, per i campi di battaglia — e c’erano più campi di battaglia che d’orzo o di luppolo — a versare gli ultimi sorsi di birra e di idromele agli eroi morenti.
Ci sono due tipi di ciclisti
Per quanto non riesca a rappresentarmi le belle fanciulle danesi altrimenti che in bicicletta, debbo dire che in Danimarca la bicicletta non è una penosa ossessione come in Olanda.
Sulla bicicletta, gli olandesi hanno l’aria « seduta » che conferiva un tempo agli iniziati il macchinoso triciclo: quella loro indicibile e esasperante sicurezza sembra veramente posare su tre ruote. Ad Amsterdam o a Rotterdam non c’è nulla di più ingombrante d’una bicicletta. Di continuo lo sguardo è sgradevolmente colpito da baracconi che qualche volta, lungo l’Amstel, per esempio, sembrano addirittura dei cupi stabilimenti balneari, ma non sono che depositi di biciclette, a un tanto l’ora, per gli impiegati e gli operai che non possono nè lasciarle in portineria, nè abbandonarle, come generalmente accade, al margine dei marciapiedi.
Per le vie di Amsterdam non ostante il severo regime stradale, si è tuttavia molestati dai ciclisti che sembrano doversi abbattere sul pedone come nuvoli di cavallette su un campo di biade. A Copenaghen invece, dove, se mancano le piste speciali, le biciclette hanno diritto di marciapiede, per quanto il fastidio sia più evidente, quel continuo sciamare di ciclisti, per lo più del bel sesso, dà piacevolissime sensazioni di leggerezza e di brio. È come un venticello che attraversi un bel dipinto preleonardesco, quando i pittori, per rappresentare i dolci aliti, usavano bei faccioni di pattini dalle gote piene d’aria. Qui non si vedono cherubini, ma deliziosi profili per medaglie commemorative; le chiome, bionde — di un biondo maturo come il biondo del Rinascimento — ondeggiano appena appena, ma abbastanza per lasciare intravedere la purezza ardita del collo. Su quello sfondo soave di cammei viene però subito a stamparsi, come in un film, il fervore sincronico delle gambe.
Caviglia sottile ma non secca
Più che pedalare, quelle gambe sembrano gareggiare di velocità con le ruote, ma hanno, sullo sfondo diafano, quasi di apparizione, una bella consistenza carnosa. Le gambe delle cicliste danesi sono il sorriso delta Danimarca, un sorriso che, se non scopre lo splendore dei denti, rivela, ora che l’estate ha ridotto anche qui il pudore ai minimi termini, altri candori, non meno gentili. La gamba, diceva il Firenzuola, dev’essere lunga, la caviglia sottile ma non secca, i polpacci sodi e bianchi. E le ginocchia? Non ricordo più come devono essere, ma so che sulle ginocchia di una di queste fanciulle, Amleto, principe di Danimarca, chiedeva di poggiare il capo sconvolto dalla tragedia shakespeariana. Quasi quasi vorrei vivere anch’io qualche fatto tremendo, non per terrorizzare alcune migliaia di generazioni di studenti, ma per poter riposare un istante il volto sulle vostre ginocchia, o fanciulle danesi.
Ma se la mediocrità della mia esistenza non mi dà il diritto di accarezzarle con le guance, la mia qualità di pedone, quando la luce rossa vi obbliga a schierarvi lungo il « nostro » passaggio, mi autorizza a passarle in rivista.
No, non dirò che hanno la candidezza e la lievità della panna montata, nè la freschezza di un gelato, nè dolci declivi morfologici, come la fronte di certe ragazze intellettuali; non dirò neppure perchè un raffronto con le ragazze di Olanda, dalle gambe troppo vigorose, tutte polpacci, mi parrebbe un’offesa per voi, e un perditempo per me.
Il segreto delle vostre ginocchia non sarò io a svelarlo.
Ma è anche un segreto che queste creature eccezionali non si incontrano che in bicicletta?
A piedi non vanno mai
A piedi non vanno mai, non entrano mai in un ristorante, in un cinema, in un caffè, in un negozio, non si fermano neppure davanti le vetrine di Ostergrade, fiera delle vanità, non prendono mai il tè all’albergo di Inghilterra e la sera non fanno mai all’amore a Langelinie. Le ho cercate nelle foreste di faggi, al nord di Copenaghen, a Hellerup, il sobborgo dei ricchi, a Charlottenlund, dove i bambini giuocano con i grossi cannoni, appena appena antiquati, della vecchia difesa costiera; a Klampenborg, paradiso dei cervi e cimitero delle querce secolari soffocate dai faggi altissimi. Si può sempre vederle passare, velocissime, sul ciglio delle strade, così piane e lisce che la più lunga distanza diventa una breve volata.
Sono sempre sole, come se fuggissero gli uomini, e non le ho mai viste nè salire nè scendere dalla bicicletta, se non per una breve sosta ai crocicchi, sotto i semafori. Si, qualche volta le ho vedute sfiorar la terra con un piedino, come la ballerina di Thorwaldsen, il grande scultore di cui esiste a Roma, in San Pietro, un mausoleo, il primo danese che apri le vie della gloria ai nomi plebei in sen (ricordate il grazioso cicaleccio di fanciulli di Andersen, altra celebrità in sen?). Le donne che s'incontrano nelle foreste e sulle spiagge, nei grandi ristoranti di Vesterbro e nei caffè automatici, non hanno con le più giovani proprietarie delle quattrocento mila biciclette che una lontana aria di famiglia. E su queste pianure democratiche non si vedono che donne, forse perchè democrazia è femmina.
Qui tutto appartiene alla donna: la strada, i ritrovi, i treni, i grandi ferry-boats che scivolano sui canali maestosi e candidi come cigni. Guai all’artista che simboleggiasse qualche cosa in una figura maschile. Se non ce ne mette accanto una dell’altro sesso, e su un piano di perfetta eguaglianza, l’opera rischia di rimanergli nello studio. Persino il dio del mare che, sotto tutte le latitudini e in tutti i tempi è sempre stato un dio, con attributi indiscutibilmente maschili, in Danimarca è una dea: in belle forme muliebri, ricavate dallo scultore Nielsen nel marmo di Carrara. Qui sono le donne che affollano le strade, che vanno in bicicletta, che, d’estate, portano non solo i pantaloni ma anche la cravatta, riempiono i cinema, i concerti di Tivoli, le bettole di pescatori di Nyhavn, fumano il sigaro al caffè e la pipa in casa, rientrano tardi e, a notte inoltrata, si mettono a ridere e a schiamazzare tra loro, sotto le tue finestre.
Le donne non sognano l’automobile
E, intendiamoci, non esistono, in Danimarca, donne di malaffare. Certo, per quanto non abbiano con le miracolose cicliste
che una vaga parentela, son donne quasi sempre gentili e qualche volta persino graziose. La donna danese è la sola al mondo che non desideri l’automobile. All’indifferenza del sesso dominante per le guide-interne, la democrazia deve la propria coesione, più, forse, che alle tanto vantate cooperative e alla mancanza di una vera cricca di capitalisti.
Le donne che non sognano l’automobile ignorano una delle più generose fonti di tristezza.
Meno l’automobile, esse posseggono però tutto ciò che si possa desiderare: anche l’uomo.
L’uomo è veramente, nelle mani di queste donne, un paziente balocco. Deve prima fare la felicità della madre; quindi della fidanzata; finalmente della moglie.
È, insomma, un distributore automatico di felicità: ci si mette una moneta e vien fuori amore filiale, sessuale o coniugale.
Evidentemente, ci si mette, qualche volta, una gran bella moneta. Naturalmente le donne deplorano che l’uomo sia ciò che esse hanno voluto che fosse: una macchinetta.
Senza la moneta, non vien fuori niente.
Inoltre rifiutano, con una inesorabilità squisitamente meccanica, le monete false o fuori corso.
Ho conosciuto una di queste macchinette che, per quanto la moneta fosse se non addirittura di primo conio, almeno di buona lega, non voleva più funzionare.
Era un bel giovane dagli occhi leggeri e dalle membra alate: un angelo che qualche sortilegio aveva incantato dietro lo sportello di una qualunque banca privata. Era fidanzato.
La fidanzata era bella come un fiore
La fidanzata era bella come un fiore: e i fiori, si sa, perdono di tanto in tanto qualche petalo.
Sembra che ne avesse perduto qualcuno anche prima di conoscere il fidanzato.
Il nostro giovane lo apprese per caso, un giorno, da un amico. Non disse nulla, ma la fidanzata, per quante monete sprecasse, non riusciva più a farlo funzionare.
Finalmente si decise a restituirgli, in mancanza d’altro, la parola. E così ebbero, come si suol dire, una spiegazione. La ragazza cadde dalle nuvole, pianse, ammise la scappata che nulla, del resto, poteva costringerla a nascondere, poiché, con quell’altro giovane, era pure stata fidanzata.
S'era veramente scambiata promessa di matrimonio? I bei lacrimoni della ragazza dicevano che sì.
E il nostro giovane-macchinetta ricominciò a funzionare, come prima.
Ci sono a Copenaghen centinaia di migliaia di fidanzati. E non si riesce a capire perchè non pedalino mai insieme.
Si direbbe che le fanciulle hanno un loro convegno segreto, a cui gli uomini non sono ammessi, e che forse ignorano.
E anche quando il ronzio delie biciclette è come un canto disteso di cicale, l’uomo non leva mai il naso dalla sua opera di formica.
G. di San Lazzaro

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 12.07.39

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Citazione: San Lazzaro, “Quattrocentomila biciclette,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 15 maggio 2024, https://www.dioramagdp.unito.it/items/show/2620.