Istantanee parigine COLETTE (dettagli)
Titolo: Istantanee parigine COLETTE
Autore: Gualtieri di San Lazzaro
Data: 1935-03-27
Identificatore: 1935_159
Testo:
Istantanee parigine
COLETTE
Parigi, marzo
L'ombra del gatto di Birmania si spande come una macchia ancora liquida sul candore gelido della parete.
« Non avevo mai pensato dice Colette — che la proiezione di un gatto su un muro fosse un mostro marino ».
« Marino » è, oggi, l'aggettivo preferito dalla scrittrice che l’Accademia Reale del Belgio ha chiamato ad occupare la poltrona su cui doveva agitarsi, simulando un insolito fervore accademico, l’irrequieta contessa di Noailles. Dalla torretta del grande albergo dei Campi Elisi. — che Colette ha eletto per dimora — Parigi è una città « marina » emergente dall’estuario di grigi sfumati e soavi. Creatura « marina » è la donna: quand'essa vira sulle anche, guizza dall’elisse del movimento l’incomparabile acquoso ritmo di Duo, l’ultimo romanzo della grande scrittrice. « Duo? Sono partita da due repliche, colte non so più dove... ». Su un piccolo tavolo « novecento », fissato al muro come una mensola, riconosco la carta assorbente viola, morsa da una larga chiazza d’inchiostro, in cui Alice, la protagonista di Duo, nascondeva le lettere dell’amante. Vorrei chiederle se il romanzo non è sorto invece da quella macchia d’inchiostro come l'avventura degli eroi di Max Fleicher, se il duello di Duo non è nel riflesso di porpora sulla guancia di Alice. Ammetterà sorridendo di essere sensibile alla potenza malefica dei colori. Il làche vêtement blanc del gran Farou nella Seconda, la cravatta viola di Chéri tradiscono molto di più che un’insofferenza o una simbologia del colore. Il dramma in Colette è nel conflitto tra il sentimento pauroso, tenace come un’ossessione, e l'innocuità delle apparenze; o tra l’immagine intollerabile e il vuoto, l’incoscienza psichica. La vita, diceva Wilde, e sans adéquation de la forme a l’esprit. Per Colette non c'e neppure aderenza, nell'immagine, tra colore e forma e se quest’ultimo si lascia facilmente deformare dall’immaginazione, il colore, che non è realtà ma impressione, resiste invece nella sua prima brutale rivelazione.
« Ho orrore di scrivere — fa Colette servendo pericolosamente il tè sopra gli archi elastici dei gatti. — Se mio marito, Willy, non avesse avuto la brutta idea di chiedermi un romanzo... Se, un giorno che nella compattezza, della barba aveva scoperto la scalfittura di un pelo bianco, non avesse ritrovato nel cassetto in cui l’avevo gettato sdegnosamente qualche mese prima il mio primo manoscritto... ». Ma le pesa chiudere il cerchio delle condizionali che come diceva Panurgo « reçoivent toutes contradictions et impossibilités » e strofina il mento rimasto aguzzo nella mollezza fiamminga del corpo su due batuffoli di peli attraverso cui traspare la lucentezza degli occhi, come di. brace ancor viva sotto la cenere. Non è difficile leggere nel suo volto felino e farinoso che scrivere non è per essa l’haut-le-corps di Cocteau, ma una costrizione. Da un quarto di secolo non c’è lustro che non assista a una nuova impresa di Colette: l’ultima, l'istituto di bellezza, fu forse la più chiassosa. Era opinione diffusa che le cinquantamila copie — tiratura media, dei suoi ventotto volumi — le avessero negli ultimi anni procurato l'agiatezza.
Ma Colette, se molto guadagnava, troppo spendeva. Aveva preso l’abitudine di vivere nei grandi alberghi, di offrire il tè ai suoi gatti nelle maccostabili cascine del bosco di Bologna. Anche oggi, nonostante il successo di Duo, i suoi amici — Morand, Mauriac — per venirle in aiuto scelgono, tra le pagine inedite dell’autrice di Chéri, tra le annotazioni frettolose dei taccuini, gli scritti che possano convenire a un'edizione di lusso a tiratura limitata. Del disordine delle sue finanze essa parla senza vergogna, nei suoi libri, nelle interviste, ma sempre con quel casto pudore che anche quando tocca un argomento scabroso la trattiene sull’orlo dell’inverecondia.
È stata paragonata a una grossa ape che cacciandosi dappertutto, cozzando contro i soffitti bassi, riesca poi a trovare la finestra aperta e sparisca nella luce.
Ora che la sua arte ha la pacata dolcezza dell’autunno, spoglia dell'antico soverchio rigoglio, la sua amarezza sembra rarefarsi, purificandosi. La morale di Duo è che l'uomo e la donna non sono dei vasi comunicanti. La donna, senza essere completamente l’animale ragionevole nè la bestia bruta è più vicina alla natura che l’uomo, il quale non è quasi mai se stesso, ma ciò che rappresenta o vorrebbe rappresentare.
Ma l’espressione più personale di Colette è nella sincerità della sua emozione, anche se la sua visione non è sempre originale, essa acquista però nella sua bella prosa morbida, irrorata di lirismo, un aspetto nuovo, tra il rappresentativo e il confidenziale, particolare, inimitabile.
G. di San Lazzaro.
Collezione: Diorama 27.03.35
Etichette: Fotografia, Gualtieri di San Lazzaro, Istantanee Parigine
Citazione: Gualtieri di San Lazzaro, “Istantanee parigine COLETTE,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 06 dicembre 2024, https://www.dioramagdp.unito.it/items/show/2068.