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Titolo: Sergio Ortolani

Autore: Non firmato (Lorenzo Gigli)

Data: 1933-03-22

Identificatore: 1933_177

Testo: GALLERIA
Sergio Ortolani
« Questo è il piazzale dove giocavo
fanciullo... » Un ritorno. Gli incontri dei momenti felici sulle strade della memoria. Così il fondo del volume di prose liriche Controcanto, che Sergio Ortolani pubblica nelle edizioni di « Circoli » (Genova, 1933), è nettamente autobiografico. Su codesto fondo l’autore contrappunta la storia del suo dramma spirituale ed estetico, la sua avventura terrestre che là tocca le sponde d'un realismo di tinte necessariamente cupe (qualche panorama di guerra) e qua assurge a visioni panteistiche e si identifica in pienezza di felicità carnale e cosmica che trapassa nel mito (vedere gli ultimi capitoli). In sostanza, un disegno narrativo e lirico abbastanza evidente, sul quale non si raggiunge tuttavia quella completa unità interiore e stilistica valevole ad affrancare il frammento dal Suo peccato originale. C’è nell’Ortolani un temperamento lirico portato ad esprimersi per sintesi e per scorci essenziali, a valersi della parola in funzione di simbolo e di chiave d’un concetto complesso. La rarefazione della sua prosa tocca talvolta l’ermetismo in un senso che vorremmo dire vicino alla autonomia dei grandi lirici, cioè ad una reale ebbrezza di canto dietro la quale sparisce ogni materiale esigenza ed i fantasmi poetici si dissolvono in climi di fiaba. Codesta dell'ermetismo non è mai una posizione che si possa elevare a capo d'accusa, se non nei confronti di certi contrabbandieri della poesia; il poeta vero ha diritto d’essere ermetico quanto gli piace, se la sostanza lirica vibra veramente e vive nel grumo della sua espressione. Furono ermetici quando vollero tutti i grandi lirici, dal Petrarca al Leopardi, dal Baudelaire al Rimbaud. L’appunto che si può muovere all’Ortolani è d’altra natura, è piuttosto in dipendenza d’un certo preziosismo e barocchismo decorativo, che traduce l'enfasi e la fissa nel ritmo di una prosa sovraccarica. Sono i momenti pericolosi del frammentismo; ma è giusto dire che non sono molti in questo libretto, dove l'Ortolani dimostra di sentire il peso d’una responsabilità d'artista che si cerca fuori dalle strade comuni. Parte dalla casa nelle memorie come da un'arca « che ritorna agli approdi terrestri carica del nuovo mondo »; e muove alla ricerca di qualche cosa che deve pur esserci nel mondo, che c'è da tempo immemorabile, e alla quale s'ancorerà: « un io eterno, rimasto ad aspettare questo mio ritorno; statua di me stesso ». Se il « furore ingenuo delie immagini », come 1’Ortolani medesimo lo definisce, addensa lungo codesto suo cammino cirri di fantasie e di allegorie che veleggiano capricciosamente nel cielo, il camminante non è sempre perduto in estasi a seguirne le stravaganti manovre. Il suo occhio si riporta sulla terra, scruta il segreto della natura, attinge le fonti della pura bellezza e vi si rinfresca. C’è una pagina che comincia « Intanto non so come il chiaro di luna si fece alba... », dove il motivo si spiega in canto. E allora quell’io eterno, quella statua di sè stesso, « per sè immemore, ma sempre contemplata nella speranza », si anima, vive, riempie il paesaggio, intreccia danze sotto la luna. Il quadro può ricordare certi momenti celebri di Watteau, sussurri di alberi e di ruscelli, timidi colloquii lunari di ninfe, agguati di satiri, carnalità un poco leziosa all’antivigilia di un dramma. Ma la eleganza dell’Ortolani non si ferma alla superficie, introduce pensieri di più vasta portata, insegne i sogni fin dentro i tronchi centenari, li ferma sul limite dell’assoluto, li cristallizza in mito. « Il mio sonno è tornato negli alberi, dove, il giorno, si nasconde. E come un tempo tardissimo e vecchio, vi stagiona, fa che ogni stilla dell’ora, ogni fibra di vita s’ispessisca e s’induri, quasi dimentica; fa di questo oblio stesso quei rustici monumenti ». Ed. ecco le ninfe son tutte venute fuori, in atteggiamenti di grazia non terrena:
« Il segno dello spirito è in ogni arto, come sui volti. E alle fanciulle più mature le rosee ginocchia imitano il volto con una vergognata tenerezza che veramente è discesa dall’animo materno ».
*

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 22.03.33

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Citazione: Non firmato (Lorenzo Gigli), “Sergio Ortolani,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 17 maggio 2024, https://www.dioramagdp.unito.it/items/show/987.