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Titolo: Carlo Betocchi

Autore: Non firmato (Lorenzo Gigli)

Data: 1933-02-15

Identificatore: 1933_127

Testo: GALLERIA
Carlo Betocchi
Per il premio Fracchia s'era parlato anche di lui, Carlo Betocchi, toscano di famiglia, torinese di nascita, autore di Realtà vince il sogno, trenta poesie stampate in tiratura limitata nelle edizioni della rivista fiorentina Il Frontespizio. Meritava che se ne parlasse. La sua apparizione nel cielo della poesia d'oggi, pur coi suoi difetti e le sue limitazioni, è di quelle che contano, così, per la trasfigurazione del fatto naturalistico in immagini poetiche cariche di cosmicità, come per l'intima sostanza autobiografica che allaccia la sua poesia al ciclo d’una sofferta esperienza umana e d’una ricerca di ordine spirituale e culturale i cui precedenti sono da indicare nei tentativi e nei resultati della poesia europea degli ultimi quarant’anni, da Rimbaud a Mallarmé e a Verhaeren. Nella prefazione il Betocchi si definisce senza equivoci: «Lettore, qualunque cosa ti sembri delle poesie che tu leggerai, non sono io che te le abbandonerò cosi come stanno; penso che in poesia, dove non c’è nulla di voluto ma anche non c'è nulla di abbandonato, spetti prima al poeta di vederci chiaro; e che a me dunque convenga come un obbligo di accompagnarle fin dove posso, dentro la tua intelligenza e dentro il tuo cuore ». Ed ecco le letture ch’egli confessa, quelle che l'han lasciato profondamente vivificato e maggiormente capace di poesia: Foscolo, Leopardi e Manzoni, Shelley e Keats, Villon e Rimbaud. Nutrimento di midolle di leoni. Al linguaggio senza ambagi degli ultimi due il Betocchi crede anzi di dovere la rivelazione delle vie sconosciute per la quali si giunge ad un possesso imo e gagliardo della realtà con una lingua che allora diventa poetica. Con tutto questo, i precedenti del Betocchi restano allo stato, per così dire, allegorico; non rappresentano una serie di esperimenti e di trasposizioni, nè un fatto culturale e mnemonico; ma piuttosto, se mai, un fatto sentimentale e insieme una dichiarazione di fedeltà alla poesia e di continuità della grande tradizione, nella quale confluiscono, si ritrovano e si fondono le diverse correnti. All'autonomia il Betocchi giunge in virtù dello stato di grazia nel quale è assunto e della tonalità del suo canto. Che si inizia sempre con un'immagine di luce, montata in strofe spesso tecnicamente perfette, sostenuta da ritmi preziosi non in senso rettorico e artificioso ma in senso critico e costruttivo. Questa luminosità preliminare crea l’atmosfera fiabesca nella quale il simbolismo betocchiano assume ogni aspetto della natura a funzione di spettacolo o di motivo feerico, riconducendosi all’innocenza del mito e, alla purità dei primissimi giorni, in cui si risolve cosi il destino del poeta come quello dell’umanità quando l’ultima luce venga sul mondo. La « vita che andremo a vivere » non è più un presentimento e un tremore: è una certezza, che aspetta il momento in cui « risaliremo in fiumi azzurri — e in celesti sussurri » verso la volontà del cielo. Quando? Domani. La lirica che chiude il volume riassume e precisa questo concetto, lo enuclea dal suo mitico splendore per riportarlo sulla terra a consolare l’attesa degli uomini:
In un aere senza il dolce azzurro
dove il sole è l’etern’onda
andremo via giulivi;
con stupend’ali senza sussurro
verso una riva gioconda, profondamente vivi.
Dove, per toccare dei modi e della tecnica betocchiana, si può riconoscere all'immagine un valore sintetico affidato alla spregiudicatezza di manovra e di funzione dell'aggettivo e dell’avverbio nel periodo poetico. Ma qui si vuol dire soprattutto del significato umano e morale della poesia del Betocchi, che scioglie in luce le nostre inquietudini e illusioni, e canta una natura ricondotta alle sue divine origini La lucida certezza di quello che il poeta dice è predominante anche là dove son più risoluti i pericoli d’un simbolismo aggravato dalla necessità di disciplinare l’urgenza e l’abbondanza delle immagini e di condensarle in scorci, anche tecnicamente audaci. Lucida certezza; e se c’è una cosa, anzi, che l’ha allucinato, è stata la realtà di tutto quello che si vede, e che comunemente vien chiamato il mondo, « la quale certe volte m’è sembrato che avesse profondità dove disperavo, e tuttora dispero nei miei momenti migliori, d'arrivare ».

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 15.02.33

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Citazione: Non firmato (Lorenzo Gigli), “Carlo Betocchi,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 17 maggio 2024, https://www.dioramagdp.unito.it/items/show/937.