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Titolo: I due "premii" giornalistici

Autore: Massimo Bontempelli

Data: 1932-12-28

Identificatore: 1932_545

Testo: I due “premii" giornalistici
Tra i molti prmii che si assegneranno nei primi mesi del ’33, con riferimento ad attività del 1932, sono da segnalare come i più caratteristici i due premii assegnati al giornalismo.
Uno è il « Premio Sandro Mussolini », bandito dal Sindacato Nazionale Fascista dei Giornalisti (il regolamento di esso si trova nel fascicolo di luglio del Bollettino del Sindacato). Mi pare che in generale i nostri quotidiani non abbiano abbastanza sottolineato e illustrato l’importanza di questa iniziativa.
Comunemente il pubblico non conosce che uno strato della classe giornalistica: i più in vista: cioè i dirigenti, e gli articolisti di grido; insomma, i mettinscena e le vedette. Ma ha ancora idee molto confuse su quel mondo meno esposto, che al giornale fabbrica quotidianamente le ossa e i muscoli e il movimento.
Forse il pubblico crede che fare il cronista, il corrispondente, l’intitolatore, l’impaginatore, il segretario di redazione, il « cucinatore », ecc., siano operazioni quasi impersonali; che basta farsele insegnare e poi, a parità di buon volere, tutti le disimpegnano press'a poco allo stesso modo. Tutt’altro. In nessuna produzione collettiva si richiede da ognuno, ma proprio da ognuno fino all’ultimo, dei partecipanti, una somma così grande di attività individuata, di capacità e prontezza personale.
Il « Premio Sandro Mussolini », dal quale, come dice il bando, sono esclusi i direttori di giornali, i capi-redattori, e quei giornalisti che abbiano già raggiunta una notorietà e una posizione riconosciuta (sono esclusi cioè precisamente i mettinscena e le vedette), ha dunque lo scopo di stabilire pubblicamente scale di valori tra i giornalisti che il pubblico suole considerare quasi come una massa disindividuata e meccanica; in questo sta la sua originalità e importanza. Ne aspettiamo con curioso e affettuoso interesse i risultati, che debbono essere prossimi.
All’altro polo sta il « Secondo Premio Mediterraneo », di San Remo, anch’esso dedicato al giornalismo: questo è appunto il premio offerto alle « vedette », o a coloro che meritano di essere indicati come tali.
La seconda delle « Regole per il Premio Mediterraneo » dice: — Anno per anno la fondatrice stabilirà a quale arte debba essere attribuito il premio per l’anno a venire, e, nel caso sia attribuito alle lettere, a quale genere letterario (narrazione, lirica, teatro, critica, collaborazione giornalistica, ecc. ).
Ecco in quella parentesi è entrata, come niente fosse, una novità: la « collaborazione giornalistica » considerata come genere letterario (in senso empirico, s’intende, sì, lo sappiamo... ).
Per quest’anno la fondatrice, la signora Bianca Maria Brayda, ha stabilito che il premio si destini appunto alla collaborazione giornalistica. Nel bando di quest’anno è stato a suo tempo indicato che cosa, grosso modo, possa intendersi per collaborazione giornalistica in quel senso: serie di articoli di critica della letteratura, o di arti figurative o musicale o dello spettacolo; viaggi, varietà; corsivi; elzeviri; collaborazione da terza pagina, esclusa la novellistica; ecc.
Certamente questa serie non è completa; e non è completabile, data la enorme elasticità e le varietà possibili di tutto quello che può diventare collaborazione giornalistica. Un provvidenziale « ecc. » serve a far coraggio a tanti altri, ai cronisti giudiziari, ai critici sportivi, ai distillatori di « capicronaca »: tutte scritture che possono raggiungere il clima dell'arte.
In fondo quelle indicazioni non sono che esemplificazioni: ognuno di coloro che pensano di concorrere al premio capirà da sé se il materiale ch’egli manda possa rientrare nello spirito assai largo che gli estensori del bando hanno inteso di dare al concorso.
La stessa esclusione delle novelle può servire a illuminare tali intenzioni. Allontanamento dalla « letteratura » nel vecchio senso, arcadico, accademico, di casta, di gergo. Critica anche, si, e narrazioni di viaggi, e commenti alla vita, e tutto quel che si vuole, ma tutto deve essere, nello stesso tempo che « letteratura », anche « giornalismo ». Cioè comunicazione. Chi descrive un proprio viaggio sapendo già che la sua prosa andrà in mano a molte migliaia di persone, le quali, se lo scritto non le afferra, salteranno facilmente a un’altra colonna o a un’altra pagina, è naturalmente tratto a scrivere in tutt’altra maniera che se scrivesse per cinquanta letterati. Chi commenta in un breve elzeviro o corsivo un fatto saliente della cronaca quotidiana, anche se il suo commento è poggiato su idee generali ricche della più profonda filosofia, non si lascerà facilmente distrarre verso le nuvole, ma porrà ogni cura nel fare che quelle idee traverso la presentazione dei fatti si facciano cosa viva, circolante. Il giornale diventa per lo scrittore qualche cosa come il teatro, ove le due necessità, dell’incarnare e del non divagare, sono altrettanto visibili e imperiose. Anzi nel giornale quest’obbligo è ancora più ferreo che alla ribalta. Il pubblico per sentire una commedia va in un teatro, ci va in un’ora stabilita: questa precisazione di luogo e di tempo può metterlo già in uno stato d’animo alquanto particolare, indurlo a un’attenzione, per cosi dire, specia lizzata. Ma il giornale lo ha tra le mani un po’ sempre, un po’ dappertutto; e sempre e dappertutto lo scrittore giornalista deve saperlo interessare e trascinare.
Dicono che io ho l’ossessione del mito, cioè dell'arte dello scrivere considerata come invenzione di miti, che possano entrare nel circolo della vita comune ad arricchirla, diventati autonomi, distaccati quanto è possibile dal momento e dalle contingenze in cui nascevano.
E’ verissimo, ho quest’ossessione. E la porto anche nell’argomento presente. Lo scrivere per il giornale è l’incentivo più efficace che lo scrittore possa avere a uno scrivere in cui la parola diventi carne, cioè a uno scrivere intimamente mitico.
Per questo, proprio dalla collaborazione giornalistica attendo (anzi, già da tempo vedo chiaramente elaborarsi) il rinnovamento della nostra letteratura.
Ecco l’errore gravissimo (deriva un po’ da accademismo un po’ da una considerazione troppo affrettata e superficiale del problema) di coloro che disprezzano i libri «fatti di articoli di giornale ». Al contrario, i quattro quinti di ciò che il nostro tempo va producendo di meglio, son diventati libro dopo essere passati per il giornale, vera prova del fuoco.
Quell’errore è correlativo all’altro, di coloro che dicono « prosa da giornalista » per dire prosa affrettata e di poca resistenza. Un po’ d’anni ancora, e si dirà: «scrivere da giornalista » per dire scriver vivo, effettivo, dominatore.
Tutta la mia tesi è poi singolarmente consona alla tradizione italiana. E’ ormai luogo comune che la nostra letteratura (a parte qualche miracolo, come la Commedia e i Canti) vale soprattutto in certi generi brevi, spesso occasionali: saggi, viaggi, prediche, lettere, relazioni. Ma quello era, nell'intimo, giornalismo. Le epistole del Petrarca sono articoli di rivista. Le lettere dell’Aretino sono articoli di giornale quotidiano. E cento altri esempi, tutti estremamente facili.
E facile sarà a chiunque spingere la tesi alle sue conseguenze estreme. — O l'Orlando Furioso? — L’Orlando è un vero e proprio « romanzo d’appendice », che l’Ariosto leggeva a puntate (ogni puntata un canto, con tutte le sospensioni proprie al romanzo d’appendice) ai signori e alle signore della corte.
Ove si vede che la esclusione, dal Premio Mediterraneo di quest’anno, del genere narrativo d’invenzione non ha valore assoluto; ché si sarebbe potuto tener conto anche di quegli elementi che fanno la narrazione (novella o romanzo a puntate) appropriata al giornale, ma si entrerebbe in terreno pericoloso. Oramai la tesi è abbastanza illustrata, da poter essere accolta o respinta senza dubbi nella sua portata.
E queste cose che ho dette valgano di risposta a tanti che scrivono facendo intorno al Premio Mediterraneo le domande più impensate. Qualcuno domanda: « Gli articoli in che pagina debbono essere stati pubblicati? ». Altri: « Quale è il minimo, e quale il massimo, di articoli che si possono mandare? ». Rispondiamo: libertà in tutti i sensi. Purché non siano usciti prima del 1932, per non allargare troppo il campo.
Ma la domanda più impensata e impensabile è quella di coloro che vorrebbero sapere se la « collaborazione giornalistica » concorrente deve essere inedita.
Una collaborazione giornalistica inedita non me la so figurare. Chi mai può essere l’eroe che si metta a tavolino a scrivere un articolo, un commento alla vita, un rendiconto teatrale o giudiziario, un capocronaca, una serie di note di viaggio, ecc. ecc., senza avere da pubblicarlo su un giornale? Come una volta i letterati si mettevano a fare un sonetto.
Questa domanda è la più contraria, che possa immaginarsi, allo spirito antiletterario con cui è stato bandito il Secondo Premio Mediterraneo di San Remo.
Massimo Bontempelli.

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 28.12.32

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Citazione: Massimo Bontempelli, “I due "premii" giornalistici,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 15 maggio 2024, https://www.dioramagdp.unito.it/items/show/801.