Beta!
Passa al contenuto principale

Titolo: Ada Negri in casa

Autore: Giuseppe Villaroel

Data: 1932-08-17

Identificatore: 1932_371

Testo: VISITE E INCONTRI
Ada Negri in casa
Ho ritrovato Ada Negri — se si può dire — più giovane. L’ultima volta che io la vidi, in via Guastalla, dieci anni or sono, mi parve stanca e triste e le pesavano sulle spalle i selvosi capelli, non ancora bianchi. Oggi la sua chioma è d’argento e resiste, tuttavia, impetuosa; ma il volto è chiaro e i grandi occhi neri, acutissimi, luccicano di una vitalità pensosa e maschia. Lo studio è piccolo e adorno di due grandi librerie, accanto alla finestra, quasi nascoste dalla controluce. E’ la biblioteca in cui sono raccolti i volumi preferiti dalla poetessa, volumi in gran parte ricevuti in dono dai più famosi scrittori italiani e stranieri contemporanei.
Sulla parete del salotto, innanzi a me, una fotografia di Benito Mussolini, con dedica autografa: « Ad Ada Negri in segno di cordiale amicizia e di devota gratitùdine ».
— Gratitudine? Di che?
— Di niente. Siamo noi tutti — dice la poetessa — noi Italiani che dobbiamo a quest’uomo, provvido e meraviglioso, ogni senso di gratitudine!
Gli occhi della poetessa sono diventati cupi e lucidi di commozione. Ella mi ricorda, a proposito di Stella matutina, un articolo, apparso sul Popolo d'Italia del ’21, a firma del Duce. E’ fiera e felice di questo onore.
Più in giù, un’altra fotografia: « Ed io mi sento te », Carmen Silva.
In giro quadri di Cascella e di Funi, un San Giorgio scolpito sul legno, tratto dalla cornice di un carro siciliano, un gruppo fotografico dinanzi ad un’elegante villetta svizzera.
— Questo, in piedi, è Fulceri dei Calboli; quest’altro è Paolucci.
Tutto è in ordine, linda, serena la casa di Ada Negri; vi si respira un senso di raccoglimento e di letizia. Curioso letto quello in cui dorme la poetessa, grande, quadrato, di legno massiccio, con quattro calici di metallo agli angoli. Due giovinetti eroi presiedono, dalle loro effigi, ai sonni della Donna che li comprese e li cantò con l’ànsito della sua prosa: Roberto Sarfatti e Massimo Notari. Accanto al letto: un chiuso mobile antico, di pregio, ch’io scambio per uno scrittoio a tamburo. La poetessa sorride e solleva il coperchio: una lucida batteria si offre ai miei occhi: è un « nécessaire » da toletta. Sopra un tavolinetto, vicino al capezzale, c’è un libro rilegato in cartapecora: La vita e le opere di Santa Teresa. Di fronte al letto il ritratto della madre.
* * *
Dolci e soavi rievocazioni di Lodi e di Pavia, le due città care alla Negri: Lodi che le ricorda l’infanzia e la giovinezza, coi suoi giardini chiusi, l’Adda, le viuzze strette e tortuose, la piazza di San Francesco cantata in Vespertina, le prime ansie, i primi ardori di poesia; Pavia, molto simile a Lodi nei suoi sfondi e nei suoi vicoli, dimora estiva della poetessa, con le sue torri solenni, Cieldauro con le ceneri di Sant’Agostino e le spoglie di Severino Boezio, il Ticino, maestoso e pigro, sotto il ponte coperto!
Dalla finestra aperta: il tramonto e il silenzio torpido degli interni. La fedele donna di servizio, che la poetessa definisce con un vocabolo che vorrebbe, pressappoco, significare dama di compagnia, siede nei corridoio, taciturna e prudente; forse pensa che sia giunta l’ora che l’importuno visitatore se ne vada, forse aspetta, con vigile e accorta pazienza, gli ordini della padrona. Mi congedo, non senza aver dato, di sfuggita, un’occhiata alla stanza da pranzo, scorgo la tavola nel mezzo e una sedia: un solo posto. Quanta semplicità e saggezza anche nella disposizione delle cose. Ada Negri mi accompagna. Nei suoi gesti c’è una signorilità lenta e composta. Mi lascia nell’anticamera, senza pose e senza cerimoniale, sorridendo al mio inchino mentre la cameriera rinchiude lentamente l’uscio dietro i miei passi.
* * *
Il ritorno è tutto canoro di rondini, lungo il viale alberato, con le cimase dei palazzi tinte dall’ultimo sole. Scampanellano le tranvie lontane e scivolano sull’asfalto lucido le auto silenziose. « Un gran desiderio di evadere! ». Mi tornano nella mente le parole della poetessa solitaria e trovo che la sua ansia è sincera. Tutta l’opera sua di questi ultimi anni è impregnata di questa ansia. Il suo cammino è stato lungo e agitato. Temperamento lirico percosso da tutte le più vive idealità dell’ora, Ada Negri ha ascoltato le voci del suo cuore e le voci del mondo; essa ha proceduto sulla terra guardando il cielo, senza estraniarsi dall’umanità. Oggi si volge alla solitudine, in colloquio con Dio. La sua religiosità è fatta di terrena beatitudine e di celeste aspirazione. Non nega la vita e guarda la morte come un trapasso felice, una necessaria e sovrumana soluzione della vita stessa. Pareva che tendesse all’ascesi contemplativa di cui Vespertina era il primo segno; ma, ora, la sua ricerca di Dio è nell’acquietamento supremo, nella conciliazione di tutte le contrastanti forze dell’essere, nell’armonioso comporsi del caduco e dell’eterno, del finito e dell’infinito; realtà e sublimazione della realtà, vita e superamento di vita. Verso questa definitiva conciliazione procede ancora la sua poesia che sembrava avesse raggiunto la Cima più alta. Invece, ecco una nuova zona di assoluta serenità spirituale: vivere; la qual cosa significa nello stesso tempo elevarsi sopra ogni umano tormento. Ecco il vertice vero di ogni felicità, ecco l’unico modo di accostarsi a Dio senza negare la vita che è, in se stessa, un prodigio e un dono di Dio.
* * *
Non sappiamo come Ada Negri potrà significarci, nei suoi nuovi canti, questa evasione a cui noi abbiamo accennato, senza pretendere di avere, con esattezza, intuìto il suo mondo lirico di domani; non lo sa nemmeno la poetessa che si ascolta in fiduciosa attesa. Ella sa semplicemente, di certo, ciò che è già trasmutato in ritmo espresso. Il verso che ella ama, ora, è l’endecasillabo sciolto; in esso sente che la sua sostanza lirica si fluidifica e vive. Abbiamo l’impressione — per quanto Ada Negri non si pronunci apertamente — che ella creda, con noi, che le forme libere — tranne in momenti di pura ed eccezionale felicità — disperdano le forze essenziali della poesia, la quale più acquista d’infinito nel finito quanto più si Condensa chiarificandosi. La poesia vuole essere chiusa in un anello d’oro, dice, con graziosa cèlia significativa, la poetessa. Per ora attende a un libro Di giorno in giorno in cui saranno fuse in unità spirituale le sue prose apparse in questi ultimi anni sui quotidiani e sulle riviste. La grande stima che ella mostra di Verga e della Deledda ci persuadono dei suoi sani concetti sull’arte del romanzo; ma osserva anche i giovani con molta simpatia: « La giovane letteratura moderna — dice contiene opere, forze e speranze che mi piacciono e m’interessano moltissimo ». Ella ammira, con stupore, l’Italia di oggi e il suo vivo senso di amor patrio si esalta dinanzi al miracolo di questa nostra gente che, fedele e compatta, dà al mondo esempio mirabile di ordine, di laboriosità e di forza. Questo miracolo, esclama, ha un solo nome: Mussolini!
Giuseppe Villaroel.

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 17.08.32

Citazione: Giuseppe Villaroel, “Ada Negri in casa,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 14 maggio 2024, https://www.dioramagdp.unito.it/items/show/627.