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Titolo: La buriana

Autore: Lorenzo Viani

Data: 1932-08-03

Identificatore: 1932_352

Testo: Parodie: La buriana
— Questi son posti da vedovi; da và geri schiappati e intarmoliti, non da ciurma nibbia e navalestra come noialtri — sbraitava lo Straccacizzi. E striccò lo zolfanello sulla gabbanella strumiata, roncicando come scolopio nella gramigna, e appicciò lo stincadore.
— O scassaniffi, o grugno arso — sbrodolò il gobbo, e si batteva sulle rotule tamponate di lerca — che smusi? O anche a te la brennosa non divaga?
— Gobbo bavarocchio, annaspa questa — vagellò lo Straccacizzi, agguantando un bozzello da paranco e straccanandoglielo sul polaccone; e quello mugolò come una cagna incimurrita.
Gli altri si spraccarono come galline sul baston del pollaio.
— O porci e pazzi, o pazzi e porci.
Il Ciampito al gobbo gli mantrugliava il cotrone; dove il bozzello aveva arraffato, sotto la camicia impallinata di muccido, s’impantanava un livido sanguinazzo, a cui montavan la guardia in giro porri seccaricci come di una tordea.
— O pazzi e porci, o porci e pazzi.
— Scannacagnacci.
— Ladro e spia.
— Becco e malnato.
— Ciuco.
— Maiale.
Agonia s’intruffolò con la ragione del rispetto; parlava come una mùtria e gli dicevano sputavangelo.
— O strippanotti, o non si voleva in-cicciarsi stasera?
— Parli d'oro, sputavangelo.
Presero tutti verso gli angiporti, tentennando, inzavorrati di vino. La notte era torbata da nuvolicce che filtravano un lume scremato di luna; uccelli d’ombroso augurio starnazzavano fra il mencio di quegli stracci di vento. Andavano per carruggi simili a. tagliate di coltella per entro una pattona; le case parevano barche misirizzi, con la. prua, che accoccava le costellazioni.
Videro trampellare per il caruglio incontro a loro una ragazza bella e fresca, con i capelli come serpi arronci-gliati giù per le spalle lisce e due occhi pieni d’albori lattati; sciabordava sui fianchi molli come senz’ossi, e pestava con i tacchi alti nel motriglio senza, arrisicarsi sul liscione.
— E’ la Gina — miagolò il gobbo.
— Paesana.
— O paesana, a queste foci?
La Gina si mise a cantare come fosse in mezzo alla frumentaia ghineona, quando il, mattino strabuzza, in punta di alluce sull’argentaia del primo cielo.
Ho seminato un campo di saette
ed a te gobbo te le mando tutte
ed al mio damo mando l’antre sette.
— Ciabattona, ti prendesse la peste nel pancione — sboccò il gobbo, la bocca a spengimoccolo.
— O paesana, e a me non canti la burlanda o ti schifizzi? — fischiò fra le zanne guaste il Tentennacanini, con un ghignetto strippato sul bocchino da sacrestano impegorito.
— Acciuffagalline, per te ci ho in ser-banza questa — belò la ragazza:
Io ti vorrei veder frollo in padella, massimamente il molle della trulla, il blègolo i cosciotti e la cervella.
— O femminaccia — ugolò il Tentennacanini; e augnò la ganza per la pi docchiera. — Inginocchione, e lecca per terra.
— Làsciala — sfidò il gobbo.
— Làsciala — sguisciò il Tonto, e lo avvincò per la ventosa.
— Ha ragione! — ruttò Agonia.
— Accocca questa.
— E tu questa.
— Sbudellone.
— Galera.
Le pugna svergolavano dossi e ventresche. Il gobbo sgrugnava le bassure, Agonia pestava a macinalardi, lo Straccacizzi aggranfiò la testiera del Tonto e la sgrigiolò, talchè quello si accartocciò come un alberello sotto la ventibuia. Torchiala nella gualdana la paìna cigolava come una treggia, mugolava come una. gallinaccia sott’ovo, macinata, pesticciata, calcata fra la maschiaia e le selci. Eran latrati, guai, fischi, berci, piacciconi, mostacciate, strùppoli di capelli, tinnio di denti.
— Omè omè che si spaccano.
— Donne, accorrete, si slabbrano.
— Scendete.
Ruzzolarono tacchettando i gradini smangiucchiati, s'intrambustarono strillone nella buriana, picchiavano con i matterelli sul cicciume, alla orba come saette, volavano streppe, zecchie, gnic-ce, pistelle, forfecchie; le zècche e i magnasangue sgusciati dalle capelliere zampillavano sul pavimento come perle, le donne bagnavano il selciato, le vecchie uggiolavano con la gola aor-cata dal madrone.
— Largo largo — si udì a un tratto una voce che stentennò il trambusto e slappò l’udita ai più vicini — largo che attraccano i fratelli Branca.
Il bailamme ammuffì come una bo-nazzata sotto il vento della Tambura. Tutti arrancaron via. Ma, non salpò la ragazza che aveva cantato, stramazzata per le selci, e mesceva broda dalla bocca e uggia dal naso. Tutti eran svicolati per i carugli, con l’ànsima che gli strozzava l'ùgola; attalchè la ragazza era rimasta unica nel motriglia, e glottorava, sola, con uno sgro-golio flottante come d’acqua di darsena. Non un’anima s’invigoriva fuori delle nascondiglie; essa stava aggelata, la bocca sciambrottata dal muco che aveva lo sciapo del cimurro.
Sul gran tavolone del cielo veleggiava una nuvolaccia, di latte lineata di strinato, e veniva di lontano l’uggiolìo ranticoso del mare.
LORENZO VIANI
e per copia conforme
Paolo Monelli.

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 03.08.32

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Citazione: Lorenzo Viani, “La buriana,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 15 maggio 2024, https://www.dioramagdp.unito.it/items/show/608.