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Titolo: Dalle nove alle undici

Autore: Cesare Zavattini

Data: 1932-06-29

Identificatore: 1932_292

Testo: Dalle nove
alle undici
Sono quasi le nove, io vorrei uscire. Non ci pensavo, ma poi ho udito salire dalla via la voce di un ragazzo. Forse no, è stato lo stridìo del tram a farmi venire questo desiderio. Ecco, pagherei venti lire per sapere quale rumore mi ha messo la smania addosso: ero cosi quieto, guardavo il bambino.
Mia moglie mi volge le spalle, sta asciugando i piatti. - Dirà: anche stasera? Vorrei domandarle: che cosa faccio di male? Un giorno scompariremo, tu e io; non vedi nostro figlio con la mano appoggiata alla guancia, il mio stesso gesto, il gesto di mio padre? Lascia che l’acqua scorra e non farti trovare con gli occhi rossi. Sono stanco di vederti piangere, mi sembra che tu lo faccia apposta. Molti anni fa una notte parlavamo e tu mi dicevi: quando sarò morta bacerai un’altra donna. E io dicevo: quando sarò morto bacerai un altro uomo. Se non sbaglio, avevo anch’io gli occhi un po’ umidi allora. Starei fresco se mi dovessero venire le lacrime agli occhi stasera perché il bambino si sveglierà quando accenderò la luce al mio ritorno. Tante volte l’ho preso in groppa e correvo per la stanza mentre tu voltavi fianco. Dicevo tra me: gli canterò dieci canzoni. Alla sesta dormivi e io seguitavo: sono un cavallo nero, il mio bambino è un angelo bianco, mangio le orecchie a chi lo tocca. Senti, tesoro, questi colpi al muro? E’ il vicino che si lamenta, vuol dormire in pace. Domani lo saluterò, buongiorno signor Pol, ma ora vorrei ridergli in faccia, piegarlo come un salice, farlo percuotere da te, bambino mio.
Ninna nanna, fra otto ore aprirai gli occhi, avrai un capello di più e tuo padre si vestirà in fretta per arrivare in ufficio. Anche domani sera la mamma farà il viso scuro se vorrò uscire. Bambino mio, non svegliarti più; che cosa ci sarebbe di male?
Scherzo, sciocchino, tu sarai ricco e io mi accontenterò di scrivere il tuo nome sui muri.
* * *
Sono le nove e un quarto. Anch’io fra poco camminerò leggero sull’asfalto. Sì, ho deciso, prenderò il cappello dopo aver detto: Esco. Oppure: Esco, cara.
Che volto tetro ha mia moglie! Una sera le ho parlato delle stelle che sono lontane milioni e milioni e milioni di chilometri e la luce arriva che già sono scomparse, talune, da cinquant’anni. Lei vuole che non mi muova e stia qui a guardare quel buco che ha nelle calze, bel divertimento. Va bene, non mi muovo, ma la pagherà, diamine: non uscirò mai più, diventerò magro, pallido, e le dirò: vedi?
Mi sarei accontentato, infine, di fare due passi, di bere una ghiacciata in quei bei calici sottili e alti.
* * *
Bisogna portare a letto il bambino, è stanco. Gli levo il vestito, le scarpe, lui ride. Questa sera la favola non gliela racconto, ci pensi sua madre. E poi, chissà, potrei anche uscire subito, sbattendo l’uscio e fischiando. Vorrei sapere chi può impedirmi di fare questo. L’uscio lo sbatto anche cento volte. Forse verrebbe su la portinaia a lagnarsi e mia moglie le direbbe: è giusto, scusi. Non merita che le tiri i capelli, mia moglie? La portinaia ha troppa confidenza con noi; parecchi non la salutano neppure. Si deve fare così.
Il bambino si mette a piagnucolare, lo immaginavo. Mi corico vicino a lui. Devo stare attento a non mettere i piedi sulle coperte, se no mia moglie si lamenta.
Ninna nanna, bambino mio, che cosa è tuo padre? Quando ti guarda serio, corri a nasconderti. Hai torto, non fa paura a una mosca, si leva il cappello a mezzo mondo, dice buongiorno per il primo. Senti, senti: ieri ho chiesto cento lire in prestito a quell’uomo rosso che ti fa ridere. Ebbene, bambino mio, l’uomo rosso ha detto di no, senza complimenti, a tuo padre. E proprio ieri ti ho picchiato perché hai rotto un bicchiere.
Vuoi sapere a che cosa pensavo poco fa? Ero serio serio e tu mi guardavi incantato. Te lo voglio dire in un orecchio: pensavo a una ghiacciata con la canna di paglia e i riflessi della luce.
Dormi, bambino, chiudo la porta perché tu non senta questo odioso rumore delle posate in cucina.
* * *
Apro gli occhi, l’orologio segna le undici. Ah ah, mi ero addormentato anch’io. Mia moglie si sta spogliando. Le braccia del bambino sono ancora legate al mio collo. Essa si toglie la veste. Le sue gambe nude mi piacciono. Una notte le dissi: stai un poco cosi...
Assomigliava a una diva, a una diva...
Cesare Zavattini.

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 29.06.32

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Citazione: Cesare Zavattini, “Dalle nove alle undici,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 14 maggio 2024, https://www.dioramagdp.unito.it/items/show/548.