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Titolo: Il Premio "Fracchia" ad Aldo Capasso

Autore: Aldo Capasso, Giuseppe Ungaretti

Data: 1932-01-13

Identificatore: 1932_99

Testo: Il secondo premio assegnato a Eurialo De Michelis
Il Premio “Fracchia" ad Aldo Capasso
Roma, 12 gennaio, notte
(G. C. ) Il premio « Umberto Fracchia » è staio stasera assegnato. Un poeta giovane, anzi giovanissimo, si presenta così alla ribalta della vita delle nostre lettere. Presentazione degna e autorevole, fatta, in nome dell'Italia Letteraria, da un tribunale severo e non facile alla suggestione. Se fra gl’intendimenti del « premio », dedicato allo scrittore stroncato dalla morte, mai tanto come per il povero Fracchia in agguato, c’era anche e soprattutto quello di additare la nobile fatica di un giovane, la mèta è stata pienamente raggiunta nel nome di Aldo Capasso.
La cronaca del premio è breve. Ce ne dà una sobria narrazione il giornale fondato da Umberto Fracchia. Eccola:
« Il giorno 5 gennaio si riunivano nuovamente i commissari per il premio Umberto Fracchia 1931, per procedere ad una nuova e più severa selezione delle opere rimaste in gara dòpo il primo vaglio. Erano presenti G. B. Angioletti, Emilio Cecchi, Alfredo Gargiulo, C. E. Oppo, Corrado Pavolini, Giuseppe Ungaretti. Assente, perchè all’estero, Curzio Malaparte.
« La lunga e analitica discussione, condotta sopra una quarantina circa di volumi fra i 211 concorrenti, portò alla compilazione della lista che segue. Sulle quindici opere, il cui elenco si riporta qui in ordine alfabetico, si svolgerà l’esame conclusivo per il conferimento del premio:
«Umberto Barbaro: L'essenza del can barbone; Aldo Capasso: Il passo del cigno; Mario Casalino: Romanzo d'amore; Girolamo Comi: Nel grembo dei mattini; Sandro Contini: L'intimo decreto; Eurialo De Michelis: Bugie; Carlo Emilio Gadda: La Madonna dei filosofi; Giampietro Giordana: Rondini al Liceo; Virgilio Giotti: Liriche e idillii; Giacomo Prampolini: Segni; Dino Terra: Profonda notte; Giorgio Vigolo: Canto fermo; Elio Vittorini: Piccola Borghesia; Luigi Volpicelli: Primavera a Pianabianca; Cesare Zavattini: Parliamo tanto di me ».
Stasera i commissari si sono ritrovati a mensa per la decisione definitiva. E’ ormai una tradizione, da Bagutta ai Dieci, ai Trenta, di decidere su così gravi questioni di lettere e di arte, tra un piatto di spaghetti al sugo e un saporoso cosciotto di abbacchio. Pare che dietro una tavola ben guarnita i giudici letterari si sentano più sereni di spirito che attorno a un tavolo con cartelle e lapis. Anche per il Premio Fracchia la tradizione si è bellamente continuata. Alle 20 i signori commissari hanno ricevuto il gentile invito di passare nell’aula di giustizia, correggo, nella sala da pranzo, da una graziosa cameriera in cuffietta bianca sui capelli neri alla bebè e il grembialino ricamato: « Signori, è in tavola ».
Ungaretti ha sorriso beato di dietro le lenti a una anticipata visione di ghiotti cibi e di vini deliziosi, Pavolini, invece, incravattato, romantico, misterioso, ha sospirato pensando alla prosaicità della cosa che si accingeva a fare. Ma poi, a tavola, ha mangiato di gran gusto.
La discussione si è subito accesa vivissima. Non ne faremo la cronistoria, perchè le portate sono state diverse ma ad ognuna un paio di concorrenti sono stati eliminati. Al dolce erano in gara Aldo Capasso con II passo del cigno, Elio Vittorini, autore di Piccola borghesia, e Eurialo De Michelis con Bugie. Di questi tre il primo era in testa, come si direbbe in linguaggio sportivo, per molte lunghezze. Anzi, al momento in cui la graziosa cameriera ha servito per la seconda volta il dolce a Ungaretti, tutti erano concordi nel dividere il premio di 5000 lire in due parti eguali: 2500 lire al primo e altrettante al secondo. Ed erano anche d’accordo all’unanimità di assegnare la palma della vittoria ad Aldo Capasso. Più difficile e più dibattuta la scelta del secondo. Fin sul traguardo, costituito dalle frutta e dal caffè, Vittorini e De Michelis erano... testa a testa.
Poi nelle votazioni di «accessit» De Michelis ha cominciato a guadagnare terreno, cioè un voto. La discussione si è accesa vivissima e si è prolungata fino oltre le 22. Finalmente in uno scrutinio la maggioranza più uno è stata raggiunta. L’autore di « Bugie » l’ha conquistata con 4 voti su 7. La seconda palma (pari, come si è detto, a 2500 lire) l’ha strappata lui.
Angioletti, come direttore dell'Italia Letteraria, ha fatto la proclamazione dei due vincitori, ed i commissari hanno cordialmente applaudito.
Il giudizio è stato preso da tutti i componenti la Commissione, meno Malaparte, sempre all’estero, ma che aveva inviato il proprio voto per posta. Le funzioni di cancelliere estensore della cronistoria della vivace discussione erano state assunte da Enrico Falqui, segretario di redazione.
Ed ora tocca ai letterati nostri rimettersi al lavoro per il Premio Umberto Fracchia dell’anno 1932.
* * *
« Il passo del cigno », che ha assicurato al suo autore l'ambita vittoria, è un poema diviso in 82 canzoni. Il volume, in 500 esemplari, venne pubblicato a cura di Ferdinando Garibaldi e fu finito di stampare dalla tipografia Caimo di Genova poco meno di un mese fa: il 23 dicembre 1931. L’autore è giovanissimo. Conta appena 24 anni e si è laureato in lettere nell’anno da poco terminato. Si presentò con una poderosa tesi di ben 500 pagine su Marcel Proust e si meritò 30 con lode. Ma fuori degli studi universitari la sua attività di critico edi letterato si esplicò su taluni quotidiani dell’Alta Italia e di Roma e su Solaria e L'Italia Letteraria.
Chi si immaginasse di trovare in lui il tipo classico del poeta quale il periodo romantico e della scapigliatura ce lo ha tramandato, si sbaglierebbe di grosso. Aldo Capasso non ha nessuno di quei caratteri: piccolo, modesto, con spesse lenti, ama la vita tranquilla, sedentaria nell’operosa cittadina di Savona, dinanzi all’infi nito azzurro del mare. Tra gli stessi scrittori dell'Italia Letteraria e fra quanti a questo giornale fanno capo, egli è personalmente sconosciuto. Invitato un tempo a fare una corsa a Roma, ha promesso, ma non si è ancora mosso. Soltanto Enrico Falqui, il segretario di redazione, lo conosce, perchè un bel giorno ha preso il treno ed è andato a scovarlo a Savona.
Questo è il giovane vincitore, che all’attivo di scrittore ha le seguenti opere: «La jeune parque», un’interpretazione di Gide; sono d’imminente pubblicazione « Ricerche di aura poetica » (saggi critici), « Scrittori di oggi » e « Marcel Proust »; opere, queste due, che con tutta probabilità conterranno gli articoli critici apparsi sui quotidiani e riviste e la tesi di laurea.
Due liriche inedite
di Aldo Capasso
I.
Lascerò dietro me l'ore corrose dall'onda nera che tu adduci, Amore, contro i fugaci cuori e minacciati degli uomini tristi; e queste
immense
polveri turbinanti e nubi alzate che mi cingi. Tu, Iddio Signore; stendi la tua mano silente sui marosi, e resterò eretto nella pace repentina: sì come isola franta, che luna appaca e liquida
sommerge.
Impalpabili incanti di candori funerei tu condurrai sul cuore, e ogni
sassosa
ferita sarà colma di notte immota.
II.
Porgi, mentre ricadi, ultimamente
le labbra inferme
che non voglion morire, e poi t'annulli. Ne risorgerai
con la maschera pallida e beata
di colei che passò Lete, e le ombre.
T’amerò entro sere
compiante dalle campane tardive, come miraggio tenue; e saprò quasi
trovare doni di parole lievi
ad un’ora mia chiusa, se il Signore
mi conceda una volta
di somigliarti alfine
nel casto sonno, e il mordente peccare
anche a me rechi paci vespertine
e bisbigli fanciulli.
Aldo Capasso.
Gennaio 1932.
Un giudizio di Ungaretti sul libro premiato
Riproduciamo la prefazione dettata da Giuseppe Ungaretti per il Passo del Cigno di Aldo Capasso:
Ai più sembreranno difetti i meriti d’ima poesia, come questa di Aldo Capasso, che non s’è negata il lusso d’un aspetto aspro. Non mi sorprende da parte d’un giovanissimo la caparbietà. Nè mi sorprende di vederla posta a risolvere alcuni di quei problemi segreti ai quali già altre volte è rimasta subordinata la rinascita della poesia.
La poesia sembra rinascere dalle proprie ceneri tutte le volte che l’eccesso del sapere e l’eccesso della passione, combinati, provocano una crisi del giudizio e uno smarrimento degli affetti. Sono sempre momenti definitivi, quando si fa abuso della parola infinito.
La mente umana non immagina l’infinito se non simile a un giuoco di riflessi; oppure la si vedrà annettergli, succedendole di preferirsi precisa, l’idea di divisione. Ma il ridurre senza fine la sensibilità a svegliarsi a morsi continuamente più deboli, porta a espressioni minute e morenti, quali dovevano incrociarsi nella torre di Babele. Uno stato simile, per essere comunque in grado di presentare una scappatoia, esige vocaboli degni di tremare sulle labbra d’uno di quegli angioli vanitosi, sedotti nella spera dei maghi.
Modi folli di verificare che Dio non si rivela mediante allucinazioni; e tanto meno può aversi nozione del l’eterno confondendolo con la progressione senza fine di una misura. Verso Dio non possono muoversi che puri rapporti di sentimenti. Ciò che può esserci di proficuo nel mettersi sulla scala dell’abisso, strettamente fisica e serva dell’immaginazione e della metafora, quantunque grande possa essere l’intelligenza che la regge, è che si può essere portati a contrapporle una salita del bene, metafisica e volontaria, attingente a tanta altezza quanto la discesa sprofonda. Così si ristabilisce l’equilibrio nella coscienza, e l’uomo religioso riappare, con a sè palesi, chiusi nella stessa sua scorza, tutto il bene e tutto il male, con la sua libertà di dannarsi o di salvarsi. Così l’uomo responsabile riappare, e ritrova la superbia moderatrice del suo stato; e di fronte a Dio ritrova l’umiltà del: la creatura cui non è dato di spaziare con la mente se non entro confini umani e temporali. Ciò che importa è di non lasciarsi prendere dalla paura. E Capasso dimostra di non temere neppure l’imbroglio delle idee. C’interessa questo poeta perchè cerca, nel suo consumarsi ostinato nelle idee e nella sensibilità, di ritrovare quel punto nel quale le sensazioni si fondono in sentimento e tornano semplici le idee.
E’ un problema che s’annida nella tecnica. I problemi più difficili e più segreti della poesia, specie in momenti estremi, sono problemi di tecnica; o, dicendo meglio, problemi di linguaggio. In momenti estremi il linguaggio è tutto buttato a perdere ogni sostegno descrittivo e ogni tinta; e, simbolo dell’uomo disgustato d’ornamenti, tale linguaggio, irritandosi in infinite sfumature, in infinite titubanze, annientandosi quasi, oggi già s’incide, quanto a efficacia, nella sostanza cruda.
Anche ai tempi di Jacopone da Todi e di Guido Cavalcanti, la poesia aveva da risolvere problemi di linguaggio, problemi di fondamento. Ed è vero che i problemi d’allora non sono quelli d’oggi, e anch’io so, come ognuno sa, che, nella poesia come nella vita, il passato non torna: ma per chi vuole intendere, quei due nomi non li ho qui citati a caso..
Chissà, questo nostro tempo arriverà forse a meritare la lode del Gongora al Greco, e, ereditato sapere dall’arte, e tormenti, l’arte lascerà erede di intense naturalezze.
Giuseppe Ungaretti.

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 13.01.32

Citazione: Aldo Capasso e Giuseppe Ungaretti, “Il Premio "Fracchia" ad Aldo Capasso,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 14 maggio 2024, https://www.dioramagdp.unito.it/items/show/355.