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Titolo: Una visita

Autore: Sandro Volta

Data: 1932-02-10

Identificatore: 1932_85

Testo: Una visita
L’ora è passata da pochi minuti, ma è già arrivata al colmo l’impazienza, e, quando suona il campanello, si è persa ormai ogni fiducia: sarà quello che viene a controllare il contatore della luce elettrica, o il postino per gli auguri di Natale, insomma una seccatura qualunque come capita sempre in questi momenti. E invece è proprio lei.
— Ha visto che sono venuta davvero, credeva che avessi paura? — E’ rossa in viso e ansimante perché ha fatto tutte le scale a piedi senza prendere l’ascensore, non ha pensato che l’interno 12 doveva corrispondere al sesto piano; tuttavia è disinvolta, sorridente, e varca la soglia come se niente fosse soffermandosi a guardare le stampe sulle pareti dell’anditino semibuio: — Ah, Carrà, lo conosce? Viene tutti gli anni al Porte dei Marmi: un tipo buffo con un Vocione, aveva un pigiama a strisce. — Ma ho fretta che passi nella mia stanza, e ce la spingo quasi a forza richiudendo subito la porta dietro di noi. Vedo che sta per smarrire un po’ della sua sicurezza, ma poi si riprende subito e, appena io camera, guarda all’intorno curiosa. Non avevo mai avuto una sensazione cosi precisa della volgarità di quest’ambiente d’affitto, ambiguo, messo su con una falsa eleganza coi mobili blu e neri della padrona di casa, e tutti i ninnoli, i ricordi di viaggio che vi ho aggiunto io a peggiorare le cose. Non c’è niente di più pacchiano di queste due stanze con ingresso libero sulla scala, di questa garçonnière da strapazzo; e finora non ci avevo mai fatto caso, ma a veder, lei cosi ironica valutar tutto con uno sguardo mi dà un senso insopportabile di fastidio perché sento che qui dentro non le potrò più dire una parola, fare un gesto, tentare un complimento, senza che tutto prenda lo stesso stupido carattere dongiovannesco di quei cuscini turchi e di quell'abatjour da via Condotti. Bisognerà controllare il più piccolo movimento.
Su un tavolinetto c’è un vaso con dei fiori di stoffa: — Perché finti?
— Perché io amo molto i fiori veri, ma i fiori veri sembran finti, e allora li preferisco finti perché sembrino veri. — A mano a mano che pronunzio ogni parola capisco di dire una sciocchezza e mi verrebbe voglia di lasciare la frase sospesa a metà, ma ormai è detta e ridiamo tutti e due, controvoglia. Poi restiamo, in silenzio, non si sa più che dire: lei va presso la finestra a guardare una striscia gialla che il sole, di sbieco, segna" all’ultimo piano del casamento di faccia, e se mi avvicino a prenderle una mano: — Buono, dice, questi non sono i patti, — e mi sfugge per andare a vedere una scatoletta di filigrana che ho portato dalla Macedonia.
Incominciamo a parlare della Macedonia, con serietà, come se ci trovassimo nel salotto di qualche amica. Seduta e col cappello in capo, mangia dei rahatlokum, fuma una sigaretta, e mi tiene a conversazione per una mezz’ora, su argomenti da nulla, estranei, e per un po’ mi fa quasi piacere di poter risolvere cosi la situazione, ma a un certo punto capisco che si va a finire nel ridicolo. Allora, a un nuovo tentativo di prenderle le mani, mi sento dire un’altra volta di patti da rispettare.
Che patti? Allora che c’è venuta a fare: non avrà mica creduto per davvero di venir qui perché le leggessi qualche cosa mia. Si sa che quelli sono pretesti. Io non ho nulla da leggere; non sono mica un genio incompreso, faccio il giornalista e quello che scrivo lo pubblico sul giornale e possono leggerlo tutti senza bisogno di venire a fare la finta ingenua in camera mia.
O vuole, forse, che si faccia la commedia in piena regola, e cedere dopo tutta una scena di passione? Non dico di no, ma, allora, bisognava incominciare subito cosi; o se è stata lei a smontarmi con quell’aria ironica che aveva da principio.
Mi prende la rabbia e avrei voglia di buttarmi allo sbaraglio; lei lo sente e ora ha un po’ di paura. So bene quel che bisognerebbe fare: senza tanti riguardi, prendere la via più spiccia. C’è venuta fin qui? Peggio per lei, ora provi a difendersi, si metta a gridare, o lo racconti stasera al marito, se le conviene...
Ma non ho più voglia di nulla e ormai non vedo l’ora che sia finita. Sulla facciata di fronte non c’è più traccia di sole e anche il cielo ha incominciato a oscurarsi, rapidamente s’è fatto sera. Da un caffeino giù nella via un altoparlante è più d’un’ora che non si cheta.
Ora fa anche un po’ di freddo; tocco il radiatore del termosifone e sento che è gelato. Dio, se se n’andasse! Vorrei dirglielo a bruciapelo sul viso, che se ne vada, prenderla per un braccio e metterla alla porta. Anche lei è un po’ impacciata e non sa più che dire, umiliata di questa stupida commedia, forse avrebbe voglia di piangere, ma si padroneggiti, non vuol darsi vinta, e rimane a lungo cosi, zitta e ostinata. Diventa difficile metter fine a una visita che non aveva nessuna ragione di essere incominciata. Finalmente lei ci si prova un po’ alla larga. Dice: — E’ contento che sono venuta a trovarlo?
Vorrei non lasciarmi sfuggire l’occasione, ma non so che rispondere:
— Fumiamo un’altra sigaretta? Ancora un po’ di Slivoviz? — e me ne pento subito perché lei ha accettato e ricominciamo da capo; così non la faremo più finita.
Tutt’a un tratto s’accorge che s’è fatto tardissimo e che a casa già la aspetteranno, raccoglie in furia i guanti e la borsetta, e s’avvia nel corridoio, ormai buio del tutto. Mentre, a tastoni, cerco la chiavetta della luce, mi trovo i1 suo corpo fra le braccia e mi vien fatto di stringere:
— Ora che fa?
— Niente, perdoni, ho urtato, — E mi distacco subito, freddissimo, maledicendo fra me quell’impulso che mi ha fatto perdere il controllo proprio all’ultimo momento.
— Ormai è troppo tardi, non le pare? — mi dice quando ha già aperto la porta, in una risata lunga, che non finisce più, come presa da una improvvisa crisi di nervi. Sul pianerottolo si rivolta ancora verso di me, e vedo che non ha più quella padronanza che è stata la sua difesa fino a questo momento; eccola ridiventata come prima, quando la desideravo tanto. La risata convulsa le scuote ancora la gola, mentre con la mano mi fa un cenno d’addio, dispettosa e indispettita, lontana di qui, ormai, come se fosse già arrivata a casa sua.
Sandro Volta.

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 10.02.32

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Citazione: Sandro Volta, “Una visita,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 14 maggio 2024, https://www.dioramagdp.unito.it/items/show/341.