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Titolo: Inchiesta mondiale sulla poesia

Autore: Non firmato (Lorenzo Gigli)

Data: 1931-12-23

Identificatore: 256

Testo: Inchiesta mondiale sulla poesia

Le risposte al nostro questionario

Abbiamo aperto sugli aspetti spirituale ed estetico del problema della poesia nel mondo un’inchiesta alla quale sono chiamati a rispondere i rappresentanti più insigni dell'arte e del pensiero del nostro e degli altri Paesi. Le domande sulle quali chiediamo ai poeti e ai pensatori di tutto il mondo di pronunciarsi sono le seguenti:

1. Qual i oggi la situazione della poesia nel mondo?

2. Quali sono le sensibilità nuove che vi si manifestano, volte alla ricerca di nuova materia di ispirazione e di forme originali?

3. Esiste una nuova poesia che si ispira alla civiltà meccanica del nostro tempo?

4. Quali sono le nuove possibilità

tecniche della poesia, e quale valore attribuite alla sua evoluzione che dai metri chiùsi ha condotto al verso libero e al di là di questo alle parole in libertà?

Ugo Betti

Novelliere, poeta, commediografo, pensoso dell'umana sofferenza e interprete suggestivo delle voci dell’anima, Ugo Betti deriva molta della sua esperienza d’uomini e di vicende dalia sua professione di magistrato. Il Betti è marchigiano. Le opere principali di questo sacerdote di Temi scrittore sono: Il re pensieroso, Caino e la commedia La padrona cui ha arriso il più schietto successo.

Credo che la innegabile disattenzione delle masse per le torme più alte e trasfigurate dell’arte, soprattutto per la poesia, non possa essere che momentanea, dovuta a cause del tutto contingenti. Nazioni, economie, conti ni, traffici, codici, costumi, tutto è sossopra come in un cantiere. Soprai tutto vi è questo: che la civiltà si è dilatata; classi e popoli acerbi ne sono stati assorbiti, starino subendo una maturazione che non può essere di un giorno; è naturale che si sia perduto in altezza quanto si è guadagnato in estensione. Ma tutto questo passerà, passa rapidamente.

***

Se penso a ciò che deve essere in poesia, mi tornano alla memoria cer te sere della mia infanzia, l’aria già un po’ violetta dentro il cortile dove si stava noi ragazzi. Allora noi si giocava a lanciare sassi in alto. Ogni sasso, d’un tratto, superato il livello del tetti, ritrovava il sole. Brillava un po’ lassù, unica cosa illuminata, quasi ferma, lontana come un piccolo astro: poi ripiombava.

Mi pare che la poesia debba essere una sostanza di dolore o di gioia che abbia intriso non solo il nostro pensiero, non solo i nostri affetti, ma quasi anche il nostro istinto e il nostro respiro. Soltanto dopo, dopo averci lentamente attraversato, dopo esser filtrata attraverso ogni goccia del nostro sangue, soltanto allora codesta sostanza può staccarsi da noi purificata; soltanto allora è possibile ritrovarla in fondo a tanti affanni e a tante ansie come una piccola gemma in fondo ad un crogiolo. Allora quegli affanni, che un tempo ci hanno fatto impallidire, si allontanano da noi; e così si sollevano, brillano alti e lontani, diventano musica, danza, figura, meraviglioso gioco; non più cose nostre ma di tutti quelli che alzano gli occhi a guararle.

Mi pare che questo distacco e questa conseguente trasfigurazione non siano possibili se non ci fu, prima, quella totale compenetrazione, queirassoluto possesso. Anche l’indeterminato e l’oscuro, in quanto tali, sono perfettamente determinati e concreti; e tali debbono esprimersi. Se invece l’espressione resta tormento opaco e senza canto, ragionamento e non figura, parola e non carne, ciò vuol dire che il poeta non fu interamente posseduto dalla sua emozione; e perciò, ora, a sua volta, non la possiede; non l’ha superata, si dibatte ancora dentro di essa, anzi contro di essa: avremo un commovente documento di vita, non una poesia. Questa mi sembra essere la pena della nuova, della nostra poesia: la pena del germoglio che stenta a uscire e a diventare fiore, come se avesse da rompere una scorza troppo dura. Tale stento deriva soprattutto dalla sensazione oscura ma sicura che ci sia da esprimere, oggi, qualche cosa di nuovo; dalla volontà di afferrare, brancolando fuori e dentro di noi, qualche cosa che probabilmente ancora ci sfugge. Da questa sensazione, da questa volontà nasce in tutti e dovunque la necessità di rompere i vecchi schemi metrici, di alterarli, magari di abbandonarli, per tentare ritmi nuovi, che siano non già forme estranee, ma tutt’uno con gli animi nuovi. Desideriamo percorrere, e forse percorriamo strade sconosciute. Ci sia perdonato dunque se talvolta qualcuno di noi è vittima d’una illusione che è propria a chi si muove nell'oscurità; le cose che sfioriamo ci sembrano preziose e quasi sovrumane; se dovessimo vederle con chiarezza e dominarle, forse le conosceremmo banali.

***

Le macchine, la civiltà meccanica? Credo che tutto questo sia molto appariscente, ma stia presso a poco alla superficie; e che la poesia debba affondare le sue radici più in giù; credo che un negro o un annamita possa benissimo pilotare un aeroplano, o una locomotiva, servirsi di un telefono o di una radio e magari disegnare e costruire tutto ciò, senza per questo partecipare minimamente delia nostra civiltà, cioè della nostra poesia. C’è, si, nel mondo, qualche cosa di nuovo: ma ho idea che le macchine ne siano più che la causa, l’effetto. Mi sembra che l’animo dei nostri tempi, quello che i poeti più attenti e sensibili dovrebbero cogliere, stia nel contrasto fra una vita ogni giorno più ricca, veloce, sonora, luminosa, e le pericolose crepe, i paurosi scoscendimenti del «sottosuolo», e cioè del terreno entro il quale la vita stessa dovrebbe avere le sue fondamenta; fra l'ottimismo, le macchine scintillanti, la gioia spensierata il pieno respiro delle nostre giornale tumultuose, e l’incertezza, il malessere del nostri momenti di solitudine e di silenzio, la coscienza confusa di non potere più trovare dentro di noi qualche profonda segreta consolazione. Abbiamo creato il mito dell'attivismo, crediamo che ogni forma d'azione e di movimento sia buona, ma si ha talvolta il sospetto che il più vertiginoso dei movimenti non serva a spostare neppure d’un unghia il perno della gran ruota. Siamo pieni di salute e di energia, lo sport, l'igiene ci hanno allargato il petto, ci hanno abbronzato il volto. Forse per questo ci osserviamo allo specchio con tanta attenzione. Perchè questo terrore d’invecchiare? Ci dimentichiamo ad ascoltare il palpito dei motori, le canzonette del jazz; ma ogni tanto i voltiamo con preoccupazione, come verso un uscio dimenticato a perto, buio. Abbiamo paura di morire.

Ugo Betti

Giuseppe Lipparini

Giuseppe Lipparini, poeta, romanziere, critico, deriva dalla profonda cultura classici e umanistica le sue note più schiette, sulle auali si innesta un senso vivo e attuale della modernità, Uiscito dalla scuola carducciana, il Lipparini ha dato al romanzo, al teatro e alla poesia molte opere in cui l'originalità dell'invenzione si sposa a chiarezza esemplare di lingua e di stile. Ricordiamo di lui I canti di Mélitta, L’osteria della tre gore, il volume di critica Cercando La Grazia e un manuale di Storia dell’Arte largamente informativo. Il Lipparini rappresenta degnamente l’arte e la cultura nella vita pubblica come vice-podestà di Bologna.

1. Mi pare che la poesia sia oggi come in attesa di uno slancio a cui si prepara. Gli uomini della mia generazione, che hanno espresso più propriamente, attraverso l’arte e la poesia, i primi vent'anni del secolo, sentono il distacco fra due mondi: prima e dopo il 1920. Viviamo oggi tra un mondo che cade e uno che nasce: quando questa nuova forma di vita, che si prepara, sarà più alta all’orizzonte, allora esploderà la nuova poesia nel mondo.

2. Per ora, vedo un’ansia tra vecchio e nuovo, tra futurismo e passatismo, tra ardimenti novissimi, e ritorni all'antico classici e leopardiani in forme chiuse. Ora, nella poesia, la forma è sempre stata l'indizio più sicuro dello stato d'animo della poesia stessa.

3. Esiste, sì, ma non ha ancora trovato il suo equilibrio. Non basta cantar la macchina con lo stesso stato d'animo, sincero o riflesso, con cui Pindaro cantava un tempo l'atleta. Occorrerebbe una lirica dinamica dalle mosse nuove, non più a imitazione di quelle dell’uomo, ma di quelle deila macchina. L’uomo era per i Greci la misura di tutte le cose; oggi che l'uomo, inventando la macchina, ha abdicato in essa — padrone e servo insieme — la sua propria potenza, bisogna che la detta misura si trasferisca alla macchina.

4. Notavo sopra la persistenza del tentativi di ritorni metrici, accanto alle forme libere. Ulteriori svolgimenti tecnici della poesia in senso libero, non mi paiono possibili ormai. Più delle parole in libertà! Anche qui, ansia di attesa, incertezza. Forse la poesia troverà una via nuova se, non più orgogliosamente sola, diverrà, unita con la musica, canto e aspirazione di masse. La grande lirica corale può salvare ancora la poesia.

Giuseppe Lipparini.

Maurice Gauchez

Il poeta e scrittore Maurice Gauchez nobilmente continua nella sua opera di artista e nella sua attività giornalistica la tradizione letteraria del Bel gio, che appunto nei giorni scorsi celebrava il cinquantenario delle sue maggiori glorie poetiche.

1) La poesia ha sempre il suo posto — il medesimo — nel mondo. Essa ha, come sempre, i suoi detrattori e i suoi ferventi. Più che mai essa è utile perchè è il raggio di sole, il brano d’azzurro, il soffio puro sul fango e le brume, nell’atmosfera disperata dell’epoca.

2) Poiché il rapido progresso delle macchine, la trasformazione delle intelligenze, l’evoluzione delle anime, l’incertezza dovuta al movimento attuale, in una parola tutto ciò che la guerra 1914-18 ha intensificato o determinato esige un lirismo nuovo, è avvenuto che in dieci anni la folla troppo numerosa dei versificatori si è sbandata. Tuttavia i poeti vi si son ritrovati, perchè essi soltanto precedono col loro genio, accompagnano col loro talento o seguono con la loro cooperazione il ritmo universale. Il materiale poetico? Inchiostro, penna e carta bastano. Le parole, le frasi, le immagini? Ciascuno deve servirsene come gli conviene, a condizione di saper farsi ascoltare dal popolo.

3) Non c'è una poesia nuova. La poesia è la poesia. Essa assume tutt' al più le sfumature del colore e del suono del suo tempo.

4) Le tecniche poetiche non sono che gli abbigliamenti della poesia. In arte ci sono gli stili XVII secolo, Luigi XIV, Impero... In poesia ci sono gli stili 1830 e 1930. L’avvenire, la posterità sceglieranno soltanto tra queste fasi tecniche, delle quali non sussisteranno che quelle che servono di rivestimento all'eterna poesia.

Maurice Gauchez.

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 23.12.31

Citazione: Non firmato (Lorenzo Gigli), “Inchiesta mondiale sulla poesia,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 18 maggio 2024, https://www.dioramagdp.unito.it/items/show/256.