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Titolo: Orto botanico

Autore: Giovanni Comisso

Data: 1938-12-14

Identificatore: 1937-38_78

Testo: Orto
botanico
Parigi, Mi ritraggo all’Orto Botanico dove è sole e pace. Le capre mangiano le prime foglie secche offerte dai bambini come biscotti e se da una carrozzella un piccolo piange esse rispondono con un belato, l’acuto sentore delle loro stalle porta l'aria delle Ardenne, i passeri sbucano tra le barre delle ringhiere, un soldato seduto contro un albero legge un libretto, le foglie cadono lente, fioriscono i crisantemi e le dalie, il rumore di Parigi assedia questa pace: i giardinieri falciano il gazon.
Gazon, per me è una brutta parola nell’uso della lingua francese derivata da wason dell’antico vallone. In sé non ha nulla che susciti l’idea di questa erba verde corta e molle. Ricordo una discussione avuta con D’Annunzio per interposta persona, la quale Gli aveva chiesto come si potrebbe tradurre in italiano gazon. D’Annunzio aveva risposto che bisognava pensarci sopra. Chiesto pure a me, dissi che si poteva tradurre con erbetta. La parola venne riferita a D’Annunzio ed Egli, come sempre rifiutando di accettare le risoluzioni degli altri, disse che non corrispondeva, che erbetta richiamava l'idea di qualcosa di mangereccio. Ma ora proprio qui in Parigi, dal suo traduttore Andrea Doderet, che recentemente ha tradotto la Divina Commedia in versi francesi, ho visto come abbia tradotto l’erbetta del primo canto del Purgatorio in herbette e non in gazon. Ciò mi ha confermato che gazon, sebbene nell’uso, non è affatto da essere presa tanto in considerazione da pensare di usarla né in francese, né in italiano. Gazon per i giardini, come il green inglese per indicare le zone verdi dei campi di giuoco, possono benissimo essere indicati in italiano con la parola dantesca erbetta che in sé è fortemente chiara e descrittiva.
Esiste oltre alla lingua letteraria francese, alla buona lingua francese, una lingua giornalistica che prende espressioni e parole d’uso popolari e straniere e le mette in circolazione con grande abilità e disinvoltura. Il carattere stesso di Parigi, così internazionale, offre un quotidiano motivo. Non è da dire che a questo modo la tradizionale lingua francese si arricchisca, essa si diluisce troppo fino ad un anacquamento insipido. Parole di gergo e parole straniere francesizzate nella finale, messe in uso dai cronisti dei giornali arrivano ad avere una circolazione parlata per il gusto della novità d’espressione che è sempre stato un tono di presuntuosa intelligenza.
A questo modo la lingua francese si corrompe e si fa chiusa a ristretto ambiente. Per il giuoco di instupidire l’interlocutore con la parola nuova ed ermetica non si tocca l’effetto principe di comunicare il pensiero. Anche Aretino incorre in questo pessimo uso specie nei Ragionamenti, dove le due popolane si esprimono in tale maniera popolare che stancano per l’incomprensibilità. Aretino avrebbe potuto esprimersi in un italiano più letterariamente corrente e il carattere delle popolane sarebbe risultato ugualmente intatto e vibrante basandosi soltanto sul loro modo di pensare. Sarebbe come se in un racconto con due personaggi arabi, si volesse farli parlare in arabo. La mania per il gergo in Parigi arriva all’inverosimile, oltre ad un gergo della malavita come per tutti i paesi, vi è un gergo delle sartine delle case di mode, un gergo degli studenti, un gergo degli allievi della scuola militare ed altri ancora a seconda delle categorie. Esulando da questi ambienti che le creano, queste parole indovinello, come viscide anguille strisciano o scattano per serpeggiare in zone più vaste, e favorite per mostra di novità dagli scrittori per giornali subito si diffondono.
Cito alcune di queste parole per mostrare la fragilità della loro creazione: in gergo militare il sergente si chiama crotale, per il bisticcio sergent-serpent, e ancora la spada tangente, perché l’ordine è di portarla tangente à la bande du pantalon, altre parole si creano per mutilazione, per esempio astra per administration, binet per cabinet, tricule per matricule.
Il sole passa sull’erbetta dove i passerotti saltellano tranquilli. L’Orto Botanico è fitto di piante rare, di alberi secolari, ma questo sole ha un’aria moritura e guardo le piante che i giardinieri tolgono dalla terra per portarle nelle serre dove potere sopportare l’inverno imminente coi suoi cieli pesanti. Penso ad altre piante, che come queste si trasportano da un paese all’altro cercando di farle vivere: intendo dire, uscendo dal mio gergo, le opere letterarie. Vi sono certi letterati italiani che ancora sognano, aspirano, sperano, che le loro opere siano riconosciute dalla critica francese, siano tradotte a cura di questo o quello editore, esposte nelle vetrine delle librerie di San Germano, vendute e lette. Costoro sono poveri illusi. Io pure lo fui dieci anni fa, quando Valéry Larbaud segnalò il mio libro Al vento dell’Adriatico, ma presto ho capito di quale portata era l’avvenimento. Prima di tutto mi sono trovato alle prese con una traduttrice borghesissima e ridicola, che messa alla prova col mio racconto La morte di Fortunato mi pregò di togliere il pezzo dove Fortunato poco prima di morire, portato all’ospedale, si preoccupa per i suoi piedi sporchi. Ella trovava il pezzo troppo ributtante. Una donna così inumana mi fece perdere la pazienza. Poi vennero gli editori, e sebbene il libro fosse appoggiato da uno dei primi scrittori francesi, trovavano pretesti innumerevoli per non occuparsene. Allora mi si è formata chiaramente l’idea esatta della cosa. Camminavo su di una strada sbagliata. Se io ho scarsi lettori in Italia, come potevo credere di avere un pubblico in Francia? Eppoi cosa è questa ricerca a fare dell’arte per un grande pubblico? Eppoi cosa è il pubblico letterario francese, cosa è la critica letteraria francese e il successo letterario francese? Sono tutte nubi ed equivoci.
Dopo la guerra la Francia ha avuto un buon prosatore, ma ebreo, Marcel Proust, e due considerevoli Gide e Larbaud e un grande poeta Paul Valéry, attorno a costoro frullarono una miriade di mediocri per i quali si è fatta una montatura che ha spumeggiato oltre i confini della Francia. Questa letteratura trovò la via aperta e si ebbero vendite in testo originale e traduzioni. Oggi di questa miriade di scrittori mediocri, dopo alcuni lustri di gonfiatura, anche il pubblico francese ne ha abbastanza. Dopo il crollo della speculazione sulle edizioni numerate, e anche questa esca fu incredibilmente abboccata dal pubblico italiano, oggi si annovera anche questo crollo. Quale la causa? Che gli editori cercando i lauti guadagni hanno voluto usare di costoro come di scrittori da grande pubblico, giocando su elementi politici, su problemi di attualità, ecc., spingendo cioè l’arte verso una transitorietà profonda.
Ancora oggi mi sono sentito dire che Gallimard ha scoperto un Tolstoi italiano e lo lancia come tale, puramente perché questo tale è un antifascista fuoruscito. Il consigliere per la letteratura italiana della stessa casa dice: « Datemi un romanzo italiano sia pure fascista e noi lo pubblichiamo, ma che sia un romanzo ». Ma questa proposta generosa dimostra che questo critico non conosce l’Italia e la sua realtà. Il romanzo presuppone un problema spirituale, una crisi da risolvere. Il Fascismo è forte nel suo spirito che è lo spirito stesso del popolo italiano. Il Fascismo è un fenomeno naturale per l’Italia. I problemi e le crisi dello spirito nell’individuo italiano sono pochi o nulli, anche indipendentemente dalla vita nazionale contemporanea. Noi per l’arte siamo sulla giusta via, non si riescono ad organizzare montature, gli artisti nell’assenza d’una socievolezza letteraria italiana sono messi di fronte alla più seria realtà che possa affinare le toro opere; cercare un pubblico in Italia o in Francia è una velleità che non lega con l’arte. E cercarlo in Francia poi dove l’apprezzamento è spiccatamente transitorio e superficiale non giova. Si crede che Parigi sia tutta un’Atene: mille lettori parigini del tipo della mia traduttrice non valgono un povero lettore italiano di media intelligenza. Si è creduto alla critica francese come fosse in mano di Sainte-Beuve, la critica francese ha giocato ai francesi e anche a certi facili italiani il bel tiro di montare i vari Morand, Malraux, Bedel, Jacob, i cui libri sono morti per troppo corto respiro nel tempo.
Giovanni Comisso

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 14.12.38

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Citazione: Giovanni Comisso, “Orto botanico,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 10 maggio 2024, https://www.dioramagdp.unito.it/items/show/2397.