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Titolo: Marcia funebre (in quattro tempi)

Autore: Nino Savarese

Data: 1938-11-02

Identificatore: 1937-38_40

Testo: Marcia funebre
(in quattro tempi)

La mano inesorabile ti staccò dal corpo vivo della città.
E la folla, che nell’ora vespertina indugia nelle piazze e per le vie, si risente e rabbuffa al tuo passaggio, come un uccello cui sia stata strappata una lievissima penna, ed alla minaccia, pur senza dolore, si volge a guardare insospettito l’ora sinistra che Scende dall’alto dei tetti.
Reciso dalla trama dei sensi, libero da ogni appiglio civile, il tuo corpo cala al fondo come un sasso bianco: mentre si va.
E la vita vi scorre sopra, richiudendosi in cento gorghi: sempre più alta, come una massa d’acqua senza luce.
Scende la sera sulla città, si accendono tutte le sue luci.
Quelli, per caso vivi, parlan tra loro e si commuovono nell’attimo fremente.
Tu trascorri ad occhi chiusi, dimentico ormai della superficie, o abitatore di inesplorabili fondi marini!
Solo questi fiori galleggiano, trasportati dalla corrente, avviati fuori la città, dove vanno ad ingorgarsi tutti i fiori dei morti: in un lago di acque putride e nere, che un velo di gaie corolle e un rabeschìo di amorose parole separano dall’abisso.
Dalla severa altezza ove fluì la tua anima, non ti giunse indizio?
Il grande mistero rimase ancora senza parola: si rivoltò forse come nuvola nel silenzio dei cieli, solo mutando colore?
Oh! allora uno spavento indicibile percosse tutte le cose create!

I dolci peccati ti stanno ancora intorno, in quest’ultimo cammino, ma tu vi passi accanto, immune: annientato dalla tua purezza.
Come colui che lascia a forza la sala dei piaceri e della festa, e resta solo con gli occhi abbagliati e umiliati, nella notte fredda, tu stai raccolto dietro il legno della bara come dietro una porta che non si riaprirà mai più.
Pure eri stanco, eri conturbato dalla vita, desideravi uscire sotto le stelle, ma rinascerebbero tutte le tue speranze, sé potessi ancora tendere una mano a queste cose vive, che con sospettose ed egoiste mosse si ritraggono da te: mentre si passa.
Siamo noi i depositarii e i testimoni del tuo dolore, della tua stanchezza e delle tue nausee, non tu che dovresti esserlo, a buon diritto.
Solo noi siamo in grado di apprezzare la tua morte: non tu, che dimentico di tutto, scomparisti in una polvere di acri e Confusi rimpianti.
Siamo quasi giunti: la nostra muta compagnia è finita.
Già ci vengono incontro i campi nudi, ai lati della strada, e la città scompare.
Il destino che ha giuocato con te crudelmente, ti ha risparmiato almeno la vista di questi presenti. Hai ritirato tutto di te, ed in nulla ti possono ormai colpire: hai lasciato solo un folletto a saltare, per poco, di mente in mente: l’agile ricordo. Tocca il rimorso di chi rimane, ma su te più non si posa, nemmeno con la leggerezza di un piccolo insetto sul fiore.

Prima di lasciarci sulla soglia, ricordiamo il giorno del tuo arrivo, allorché, piccolo e muto, piangevi e ridevi al tempo stesso, guardando le colorate rive dell’approdo, appena uscito dal buio grembo.
Eri ricco di tempo, ma non guardasti i giorni come un tesoro geloso che si consumava a pòco a poco: non li guardasti con lo sgomento di questo punto al quale dovevi venire.
Che illusa fiducia, che indugi, che fatiche! E che teneri sensi cogliesti, ansioso, sull’ora che fuggiva!
Quel che hai fatto è ormai concluso, e giammai si ripeterà, per te.
E se ti rimordessero le tue abitudini, esse non potranno essere cancellate dal foglio bianco che attendeva liberamente i segni del tuo destino, e sul quale col tuo sangue scrivesti il vero o il falso, il bene o il male, irrevocabilmente.

Riposi in pace il tuo corpo.
Quel che è stato, è stato. È d’altro non è più tempo.
Ma quel che lasci, quel che rimane, non appartiene ai presenti, non appartiene ai futuri; è, eternamente, di tutti e di nessuno.
Perciò tutte le cose della terra giuocano con le loro apparenze, e par che ridano del loro mutare, ed anche del loro finire; tranne il povero cuore dell’uomo.
Potesse ridere anche la tua spoglia: mentre si va per quest’ultimo tratto! Fra poco, potrai: libero dal peso dell’angusto cuore, seconderai alla fine il giuoco immemore dell’universo; sulle ali dei venti, sulle vie della luce.
Forse, riderai anche tu in Paradiso.
Nino Savarese

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 02.11.38

Citazione: Nino Savarese, “Marcia funebre (in quattro tempi),” Diorama Letterario, ultimo accesso il 12 maggio 2024, https://www.dioramagdp.unito.it/items/show/2359.