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Titolo: Navigare necesse

Autore: Lorenzo Gigli

Data: 1938-11-02

Identificatore: 1937-38_36

Testo: La lingua italiana del mare - Berghe viennesi e intestadure veneziane - L'omarino di Carducci - Moine antiche e baffi moderni
Osservatorio
Navigare
necesse
A scorrere la nota bibliografica premessa al grosso Dizionario di Marina che, sotto gli auspici della Reale Accademia d’Italia e la direzione di S.E. Giulio Bertoni, hanno compilato Enrico Falqui e Angelico Prati con una somma di indagini e di fatiche di cui non si può essere loro che grati, ci si accorge che folta è la foresta degli scrittori italiani che si sono occupati per dritto o per traverso dell’arte di navigare e delle cose della navigazione, da Bernardo Acciaiolo al Baldi, dal padre Bartoli al Magalotti, dal Ruscelli a Gabriele d’Annunzio, tacendo naturalmente dei viaggiatori terrestri e marittimi e dei grandi navigatori e avventurieri le cui testimonianze sono state preziose a quanti, prima del Falqui e del Prati, hanno compilato vocabolari attinenti al mare e alla marineria. E a questo punto va fatto tanto di cappello al maestro di tutti, che è il ferratissimo padre Alberto Guglielmotti.
Non manca, inoltre, qualche vocabolario marinaresco moderno, e uno uscì nel 1932 compilato da Carlo Bardesono di Rigras per la Lega Navale. Questo novissimo della Reale Accademia ha disegno e ambizioni più vasti, e intanto dà largo sviluppo alla indagine scientifica degli etimi, e pur attenendosi più particolarmente all’età moderna e contemporanea tratta anche voci ed espressioni dell’età di mezzo, tendendo ad essere un dizionario completo dei termini marinareschi attuali con nuovo e abbondante spoglio di quelli dialettali, i quali rappresentano un suggestivo contributo linguistico alla già ricchissima lingua italiana del mare.
Quattro anni di fatiche, un volumone grosso così (oltre 1350 pagine): e servirà a una quantità di gente, essendo dizionario tecnico e storico insieme, che illustra, per così dire, dall’interno la storia della marina, della navigazione, dell’industria e dei commerci marittimi italiani.
Imparerete, ad apertura di pagina, che nave alturiera è una nave che va in alto mare; che l'albinaggio è un diritto del fisco sui crediti del forestiero; che le berghe eran barche usate nel Cinquecento dai viennesi sul Danubio; che l'intestadura è una diga veneziana di terra per trattenere l’acqua d’un allagamento; e il revetto una rete per acqua dolce e lo spezzantenne il vento procelloso. Imparerete anche i nomi delle costellazioni, i capricci delle vele, le costumanze dei pesci, le manovre dei marinai e gli accorgimenti della strategìa; e sentirete alla fine salir su dalle pagine un odore salmastro che vi darà la nostalgia delle lunghe navigazioni silenziose sotto le stelle.
Col solito grano...
Giorni fa un articolo di Paolo Monelli chiedeva a gran voce diritto di cittadinanza nella lingua scritta per quei vocaboli e modi di dire derivati dai nostri dialetti regionali, di antiche e illustri origini alcuni, che possono servire da vivai e riserve per ringiovanire la lingua e toglierle quel carattere compassato, solenne e cattedratico che, in fondo, è la ragione vera per cui la nostra letteratura non è popolare.
Giustissimo. Tuttavia la battaglia impegnata dal Monelli è una battaglia vinta in partenza, per mancanza di contradditori; se non si vuol dire addirittura che egli sfonda una porta aperta. Tanto aperta, anzi, e spalancata che parole e modi dei dialetti vi sono passati e continuano a passarvi senza scandalo nè proteste da parte di nessuno. Che il Carducci stesse sulle sue di fronte a omarino che pur gli piaceva, si capisce, data l'epoca e dati gli umori della gente letterata d’allora. Se fosse vissuto almeno fino a vedere la guerra, altro che omarino avrebbe lasciato entrare!
Oggi tra coloro che fanno professione di scrivere (ma la categoria dei letterati puri è ridotta a uno sparuto manipolo, e predomina la figura del letterato-giornalista, cioè dello scrittore che per risolvere i problemi pratici dell'esistenza collabora alle terze pagine dei giornali) non ve n'è forse uno che non abbia per conto suo e secondo il suo gusto o capriccio attinto alle riserve dei dialetti, incastonando nella sua prosa qua una parola icastica là un modo pittoresco o argutamente sentenzioso o felicemente sintetico. Quello che il Monelli propone che si faccia lo facciamo dunque già in tanti, e non da ieri. È un pezzo ormai che abbiamo adottato, senza sofisticare, modi come il torinese sono sperso di te, bellissimo saluto che si rivolge ad un amico o ad un conoscente che non si vede da molto tempo; o come il lombardo testa di lucherino per alludere a un cervellino leggero e svagato ma senza malizia; e parole quali racchia e tardona e frasi come mi fa un baffo girano ormai dappertutto, lanciate dai giornali umoristici.
Detto questo, resta da vedere se convenga accelerare i tempi e allargare il sistema. A noi, francamente, pare di no. Troppi gl’inconvenienti e i pericoli. Il ricorso ai dialetti va inteso e applicato cum grano salis. Se diventa una moda, addio. Qualunque scrittorello dilettante si sentirà, domani, la vocazione dello scopritore di neologismi fortunati.
Il pericolo di esagerare comporta quello di non riuscire a capirsi più. Vedete la sorte toccata ad alcuni libri di quel nobile e originale artista che fu Lorenzo Viani, ai quali nocque la troppo generosa ospitalità accordata ai modi vernacoli dei pescatori viareggini. Nè è da presumere che non nascerebbero equivoci, confusioni e babilonie, che mancherebbero i soggetti di discussione sull’autenticità delle patenti del tale o del talaltro vocabolo. Ce ne offre un eloquente esempio Paolo Monelli, proprio con la parola ammoina che egli usa nel particolare significato conferitole dai napoletani. Ora la parola ammoina e il verbo ammoinare appartengono da tempo al patrimonio linguistico (confronta: ammoinare il sonno), e se consultate il Tommaseo, vi spiegherà che ammoinare significa vincere con moine, allettare: in tal senso l’usarono parecchi scrittori del passato, il Redi, il Magalotti, il Salvini. Sì che l'ammoina di Monelli richiederebbe la sua brava nota in calce: — Badate che io l’adopero alla napoletana...
l.g.

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 02.11.38

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Citazione: Lorenzo Gigli, “Navigare necesse,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 11 maggio 2024, https://www.dioramagdp.unito.it/items/show/2355.