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Titolo: Calcomanie

Autore: Camillo Sbarbaro

Data: 1933-11-29

Identificatore: 1933_510

Testo: Calcomanie
Il resto
In un momento una scena s’è svolta: muta; di cui, da spettatore che credevo, mi trovo alla fine d’essere stato piuttosto l’attore. A questo modo i pensieri dell’uomo che sbircia dallo spiraglio del cellulare capita che li abbia piuttosto chi, standosene al sole, lo scorge passare.
Una ragazzina entra; a disfarsene, spinge sul banco recipiente e moneta e si assorbe nello spettacolo del pubblico.
Si rassetta. Nel suo viso proteso leggo che starsene seduti vestiti da festa a guardare gli altri è già la morgana per lei. Ma sull’invidia la può l'ammirazione. Soprattutto l’attira qualche particolare in quell’abbigliamento se dal contemplarlo non la distoglie il suono della sua moneta provata sullo zinco.
Solo al richiamo dell’oste, che veglia all’ingresso sgombro, si riscuote. Già volta ad uscire, afferra pel collo il vetro riempito; ma nell’atto rista, andando con l’occhio dall’oste allo zinco. Il suo resto. Alla interrogazione l’oste interrogativamente leva il mento. Non c’è resto, lo sa.
Ora essa si sovviene dell’avvertimento: che dal vinaio andasse col danaro contato. È divenuto inutile il fazzolettone da spesa di cui si accorge adesso e che strizza sotto l’ascella.
Nella istintiva invocazione di chi patisce sopruso, la ragazzina si volge un attimo intorno; ma non incontrando che muro, di qua i felici che non la vedono, l’oste di là con la mano e la mente già ad altro, istantaneamente si rassegna. Uscendo trova modo di andare ancora con l’occhio al particolare che la incanta.
Sul suo viso non ho colto che un increspamento di contrarietà; ed anch’esso non v’è rimasto più dell’espressione di distretta che si produce sul viso del piccino spiccato dietro il passante: il tempo che l’occhio s’incontra lassù con quello dell’uomo da impietosire.
La parlantina
Nell’interno della vettura, dove la ressa mi sequestra, due donne si sono incontrate ed ora devo ascoltare ciò che imprendono fittamente a dirsi.
Non piglian fiato; pare facciano a sopraffarsi.
Le cose che dicono sono talmente previste! Ma esse le rimettono in circolazione con la petulanza e l’abbrivo di vedute nuove; tenendosi un po’ alte di tono, come spacciassero notizie d'interesse pubblico.
Bentosto, delusa l’aspettativa suscitata dalla parlantina, le facce intorno si uggiscono. Il mio dirimpettaio cava il giornale. Un giovanottone, che al chiacchiericcio s’è andato via via accasciando su se stesso come terreno che frana, ora a bocca schiusa le guarda abbrutito. Solo a una donna gli occhi si mantengono vispi; si vede che lo spettacolo le mette addosso il pizzicorino che un ballabile le comunicherebbe alle gambe: qualche cosa di simile al fenomeno che i fisici chiamano di induzione. Io ho ben cercato di rifugiarmi in quel che si scorge oltre i vetri; ma mai paesaggio m’è parso tanto banale. Mi sento a bagnomaria.
C’è, sì, chi tenta d’interrompere quel flusso; foss’anche per un minuto! Ma è un personaggio che si tiene a bada con un dito. Eppure in lui per disperazione comincio a riporre l’interesse e la speranza.
Si vede che ha qualche cosa da dire; qualche cosa d’urgente alla donna, delle due, che gli è vicina. Mugola; la stuzzica; le mette le mani addosso; ne sollecita in ogni modo l’attenzione; ma quella è tanto indaffarata che, senza pur accorgersene, sbarbica via via da sé quelle mani, rimette ogni volta il rampollo a sedere, lo scosta, lo cheta: tutto con un braccio, senza voltarsi.
Il duello tira su dal suo foglio il mio dirimpettaio e sveglia una punta di malizia nello sguardo più imbambolato. Intorno al marmocchio nasce un interesse. I passeggeri cominciano a guardarlo con simpatia, lo incoraggiano cogli occhi, parteggiano per lui.
Ormai egli lotta in un anfiteatro. Sentendolo, cresce in prepotenza; ributta la mano che vuole rintuzzarlo; insorge sulle ginocchia; è appena se un’occhiataccia gli toglie di sparare un « destro »; e proclama che ha sete.
Alla buon’ora. È la « rugiada al cespite » famosa. Ha sete! Come appare importante questo fatto! Come salva dalla alluvione delle inutili questa parola viva!
I tratti si distendono. È come fosse entrata e circolasse nell’afa un’arietta frizzante. Tutti gli occhi si congratulano col marmocchio, tutto il tranvai lo guarda con riconoscenza.
Il mondo ricupera i suoi colori e c’è di nuovo la spesa a vivere.
Camillo Sbarbaro.

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 29.11.33

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Citazione: Camillo Sbarbaro, “Calcomanie,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 05 maggio 2024, https://www.dioramagdp.unito.it/items/show/1320.