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Titolo: Orlando innamorato e poi furioso

Autore: Lorenzo Gigli

Data: 1933-09-27

Identificatore: 1933_424

Testo: Orlando innamorato e poi furioso
Quel mattina di settembre che attraverso la dolce terra d’Emilia giunsi a Scandiano, la rocca dei Boiardi era vigilata da un nugolo di militari in tenuta da campo. C’era un reggimento di artiglieria a manovrare. Così non potei salire alla ricerca di qualche vestigio dell’antica prosperità boiardesca, di qualche traccia dei famosi affreschi che adornavan pareti e soffitti e dei quali si conserva ancora il ricordo nella mente dei paesani mentre dai muri n’è sparito quasi ogni segno. Chi va da Reggio all’Aulla per il passo del Cerreto, trova dopo una quarantina di chilometri il bivio per Scandiano dove lo porta una strada che ha ombra da qualche bosco di querce e castagni e passa per conche verdeggianti e vailette. È una strada di poesia, che compensa della maggiore lunghezza, in confronto del tragitto normale, co’ suoi silenzi pieni d’incanto e la sua solitudine. Sbocchi sulla piazza di Scandiano senza avvedertene, e la rocca è li, da settecent’anni, come la fabbricò Gilberto Fogliano e la rifece più tardi Giovanni Boiardi. È il castello delle Muse, il sacro speco dove un cantastorie gran signore trasse dai poemi cavallereschi del ciclo carolingio e acclimatò nella poesia italiana le figure e le gesta dei paladini con le ottave del romanzo d'amore d’Orlando, il primo poema cavalleresco italiano in cui l’eroe esce dai chiusi cicli medievali per mostrarsi in veste di uomo, in balla dell’amorosa passione contro la quale non valgono disperati ardimenti. Umanità d’Orlando: il fascino del poema boiardesco, nato nella rocca di Scandiano, liberato a volo dalla fantasia e dal cuore del poeta e signore per i puri cieli emiliani, è in codesta sua novità, nei suoi modi di trattare la gentilezza cavalleresca e la gioia d’amore in freschi versi pei quali Orlando altamente rinasce sopra le canzoni del popolo. La frase è d’Alfredo Panzini, che da tempo, con saggi, conferenze, articoli va riparando alla scarsa conoscenza che s’ha, fuor del mondo dei letterati, del poema boiardesco. Una biografia del Boiardo egli scrisse alcuni anni fa per la collezione d’un editore siciliano; un recentissimo contributo è il libretto di questi giorni, La bella storia di Orlando innamorato e poi furioso (ed. Mondadori, 1933 - L. 6), che è rimaneggiamento e ampliamento di precedenti scritti. Il Panzini ha l'aria di giustificarsi: « Di questa insistenza domando scusa: è un obbligo di riconoscenza verso un poeta che dona lietezza ». Sulla qual conclusione siam tutti d’accordo a riconoscere nel Boiardo una voce originale del nostro gran coro poetico. Ma l’oblio non è poi così profondo e colpevole quanto il Panzini implicitamente denuncia. Molti lettori, al filoboiardismo li ha convertiti lui da anni; quanto alla critica, ha sempre fatto nei riguardi del sire scandianese il dover suo: e a noi qui basterà ricordare la bella e completa monografia di Giulio Reichenbach sul gentiluomo poeta quattrocentesco, ch’è insieme una perfetta ambientazione dell’uomo nel clima del Quattrocento ferrarese e una ricostruzione sapiente degli spiriti allietanti le Corti estensi di Niccolò III, di Leonello e di Borso. Ad aggiornare la bibliografia critica boiardesca vanno doverosamente aggiunti i contributi di Giulio Bertoni, del Solerti, del Carrara, del Ferrari, dello Steiner, dal Campani e dello Zottoli; e il Panzini ha ragione quando consiglia di leggere il poema, perchè v’ha più sapore, nell’edizione che ne curò Francesco Foffano, ventisei anni fa, sulle prime stampe, dove son conservate le forme che si allontanano dalla perfezione toscana e appartengono al popolo di Lombardia, e pure spirano una spontanea freschezza.
Ma il conte Matteo Maria Boiardo, signore di Scandiano, non fu soltanto un fantasioso poeta. Fu uomo grave e politico, alle dipendenze della Casa d’Este che ricambiò sempre la fedeltà tradizionale dei: Boiardi con benefici, feudi ed onori. Scendeva ogni tanto alla corte di Borso dove qualche, magno pontifex dell’Umanesimo, come il Guarini, e Vespasiano Strozzi, componeva ornate pastorali latine: e non è difficile intendere perchè 1’esordiente Matteo cominciasse a poetare nella lingua di Virgilio. E scendeva più spesso a Modena, legato com’era d’amicizia al duca Ercole al quale indirizzava « Carmina de laudibus Estensium » (delle poesie latine del Boiardo e di quelle volgari curò un’ottima edizione il Solerti nel 1894), nati in una con le Ecloghe sotto la guida e il controllo del latinista Bartolomeo da Prato. Primi saggi del poeta ventenne, freddamente scolastici, sebbene talvolta l’arte vi faccia qualche timida apparizione. Il vero artista sta per farsi luce ed entrar nella storia; è nell’aria il presentimento d’un intelletto libero e luminoso. Fiorirà su dalle mura della rocca di Scandiano il più bel canzoniere del Cinquecento, corona deposta ai piedi della misteriosa Capraia; e spiccheranno il volo le ottave dell’innamorato Orlando e dei giochi d’amore, e credo che un bel bacio a bocca aperta per la dolcezza ogni anima converta.
* * *
Con la sua solita aria di spigolare senz’ordine nei campi della realtà e della fantasia, con quel suo muoversi senza soggezione pei sentieri poetici soffermandosi dove gli talenta e postillando gli spettacoli che più si confanno al suo temperamento, con quel suo gusto della divagazione e dell’excursus, in realtà il Panzini non perde di vista, nonché il tema centrale, neppure le esigenze dello schema biografico e critico. Il suo libretto è una guida spirituale deliziosa, una introduzione alla lettura del poema d’Orlando che rivendica al Boiardo il merito d’aver elevata signorilmente a sentimenti eroici la poesia del popolo. « E se non canta prima il popolo, come potranno cantare i poeti? »: è sempre una questione d’attualità. Verrà poi l’Ariosto a nobilitare completamente la materia, a continuare sul piano della grande arte le avventure d’Orlando, a dir di lui « in un medesmo tratto — cosa non detta in prosa mai nè in rima », significando che il Boiardo ha fatto il paladino innamorato, e lui lo farà quello a cui nessuno mai pensò, cioè matto furioso.
Al « rude » poema boiardesco doveva un secol dopo capitare la disgrazia del rifacimento del Berni: chi dirà mai male abbastanza delle buone intenzioni? Il Cervantes, che aveva letto l'Orlando innamorato (nella libreria che sconvolge la testa dell’ingegnoso idalgo della Mancia si trova la « invencion del famoso Matteo Bojardo de donde tanbien tejiò su tela el cristiano poeta Ariosto»), dichiarava la intraducibilità di certi versi del poema che da scrittori stranieri fu ammirato proprio per la ragione per cui lo fu poco da noi: « perchè solo fra gli italiani ha trattato seriamente la cavalleria ». Il Panzini corregge « seriamente » in « con amore », ed ha ragione: corollario del parallelo tra il Bojardo e il Cervantes che è forse il capitolo più bello del libretto. Da codesto amore discende la pietà del Bojardo, il sua sentimento d’uomo per cosi dire crepuscolare (« tramontava la luna dell’evo medio e raggiavano appena i primi albori di una età nuova »). Alla cavalleria moritura egli mandò il suo inno, e l’ultimo alla cavalleria morente lo mandò il Cervantes. Quando il Bojardo interrompe, per la morte, il poema l’Italia è « tutta a fiamma e a foco » per la discesa di Carlo VIII. Siamo nel 1494. Le caravelle di Colombo han passato da due anni le Colonne d’Ercole.
Lorenzo Gigli.

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 27.09.33

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Citazione: Lorenzo Gigli, “Orlando innamorato e poi furioso,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 17 maggio 2024, https://www.dioramagdp.unito.it/items/show/1234.