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Titolo: Giuoco pericoloso

Autore: Elio Talarico

Data: 1933-09-27

Identificatore: 1933_421

Testo: Giuoco pericoloso
— Con la morte dell’estate si diventa più buoni, quasi — disse uno della comitiva fermandosi in mezzo alla strada a gambe larghe e agitando ridicolmente le braccia davanti agli occhi dei compagni disattenti — come se tutto stesse per finire, ecco; passioni, rancori, senso della vita...
Ma tutti gli altri non fecero davvero caso alle sue strane frasi incomprensibili: era da poco passata la mezzanotte e un vento sottile, appena fresco, incominciava ad alitare dal folto degli alberi vicini, sul Lungotevere, increspando l’acqua silenziosa del fiume che, poco più discosto, scompariva all’improvviso in una placida curva inattesa.
— Andiamocene a letto, amici, — biascicò ad un tratto Baccarini, il più serio e il più anziano — se no, domani, chi ce la fa ad alzarsi presto per andare in ufficio?
Fu accolto da un coro di proteste e di cameratesca palese presa in giro: — Povero cocco, — cercò di canzonare Monatti, l’unico sfaticato della compagnia che viveva ancora in famiglia e non capiva, quindi, le preoccupazioni di nessun genere — povero cocco: hai paura, forse, che ti sgridi la Signora Maestra?
La frase, li per li, ebbe una certa fortuna spontanea: tanto che si venne a creare un’atmosfera di giuoco, falsa e voluta, da principio appena accennata e subito dopo, per una logica catena delle parole e delle finzioni necessarie, veramente nata dal desiderio che ognuno nascondeva di mostrarsi più buono, più tenero, più sincero.
Baccarini tentava ancora di liberarsi dalla minaccia d’ingenua schiavitù che appariva all’orizzonte; disse, con molta serietà:
— E poi, scherzi a parte, non voglio che mia moglie mi aspetti tanto: è già un po’ di tempo che rientro troppo tardi, la notte.
Monatti prese la palla al balzo:
— Sentitelo, — sghignazzava — sentitelo il moccioso; finge di avere moglie, adesso! non ti bastava, forse, di fare « al medico e all’ammalata » con tua sorella tutto il giorno, calcandoti in capo la bombetta di tuo padre e obbligando la piccina a infagottarsi negli abiti da festa della donna di servizio?
Pure la moglie, adesso: pure la moglie, sfacciatello. A quando, dunque, l’eroico racconto della prima sigaretta fumata? — Baccarini, che proprio in quel momento riaccendeva rabbiosamente per la terza o quarta volta l’ultimo mezzo sigaro della sera, non potè fare a meno di sorridergli.
— Sempre il solito tipaccio — mormorò con una certa pudica ammirazione per l’amico brillante e spensierato; ma la sua mente era sperduta dietro chissà quali misteriosi pensieri. La moglie... che cosa farà Bruna, in questo momento? Lo aspetta ancora, e immagina... che cosa potrà mai immaginare una donna gelosa?
La pietra dello scandalo, Monatti, continuava ad organizzare il piccolo viaggio verso la grande infanzia.
— Bambini, tenetevi per mano: e stiamo bene attenti, mi raccomando.
Qualcuno disse in sordina:
— Come le reclute e gli amanti.
Ma le parole stagnarono in un silenzio greve e imprevisto; ognuno, parve, rientrava in se stesso come una tartaruga nel guscio, e affioravano allora in superficie pensieri staccati, ricordi lontani, malinconici stati di grazia da tempo immemorabile distrutti.
Si trovarono, senza neanche accorgersene, davanti al parco dei divertimenti che una notissima ditta della Capitale aveva organizzato, in uno spiazzo capace, per la gioia dei suoi piccoli clienti.
— Hurrà — fece il solito Monatti — chi mi vuol bene mi segua.
E, senza dar tempo agli altri di riflettere, scavalcò agilmente un basso cancello di ferro per trovarsi con un salto nel cuore del parco silenzioso.
* * *
Sembravano, visti di lontano, dei ragazzacci calati in un orto per rubarvi la frutta immatura: e invece non trafugarono che un attimo solo della loro giovinezza, presi da una folata di transitoria follia collettiva.
— Dormono, i purosangue — saltò su a dire con voce assurdamente malinconica un c’erto Bassi, ancora troppo memore dei bicchierini bevuti mentre avevano abbandonato la sala dei bigliardi, nell’eterno affumicato caffeuccio dei convegni serali.
— Uh! la giostra, la piccola giostra; chi vuole divertirsi, signori? — Rimasero per un attimo muti e pensierosi davanti al carosello ridicolo e tragico nella sua stupefatta immobilità: poi la giostra fu messa in movimento e da qualche nascondiglio segreto venne fuori un’antica musica festaiola e risaputa, musichetta leggera da circo equestre e da Luna-Park ambulante di villaggio in villaggio. « Trotta, galoppa, Piemonte Reale... ».
Baccarini sudava, aggrappato in malo modo metà sopra un cavallo sauro e metà sopra il vicino cavallo bianco: egli era grosso, grasso, e un’àdipe untuosa gli riempiva tutti gli angoli del volto bonario fin sotto le occhiaie piatte da cui brillava fuori uno sguardo timido e conciliante.
— Corri, corri: bisogna raggiungere ad ogni costo il terribile e sanguinario Piede di Cervo. Corri, corri.
Proprio come una volta, come allora; l’aria stessa venne impregnata dal profumo dei pini — i pini di Villa Borghese — ricomparvero i medesimi pensieri di forse trent’anni prima, era dolce abbandonarsi così in questa specie di piccola sbornia spirituale, lieve e carezzevole.
— Uno, due. Uno, due. Uno, due.
Monatti faceva il diavolo acrobata fra le corde della pericolosa invitante altalena.
— Volete vedere il giro della morte?
Ma si decise invece una furibonda partita a « guerra francese »: nessuno, certo, ebbe la cattiva idea di opporsi sia pure un istante al desiderio degli altri é allora tutti incominciarono a correre, scalmanati, accaldati, presi davvero nella passione del giuoco che neanche più ricordavano bene, eccitatissimi nella loro apparente felicità.
— I prigionieri bisogna metterli a destra o a sinistra?
Discussioni, litigi, chiasso sproporzionato.
— Baccarini con me non lo voglio: è una marmotta.
— Morandi, corri ancora veloce come una volta?
Ci furono delle cadute, dei tuffi involontari, delle risate interminabili e serene; poi, sul più belio della favola vissuta, venné l’Orco cattivo e li mise a fuga precipitosa.
— Via, via di qua; che cosa volete? Via!
Il guardiano del castello magico? Un povero vecchio custode finalmente destato dalle troppe grida: e arrivava, trafelato, dalla lontana baracchetta di fortuna, claudicando, bestemmiando.
Il cancello venne scavalcato alla meno peggio e nel minor tempo possibile: soltanto Baccarini, tozzo e impacciato com’era, nella fretta di scendere a terra, si lacerò i pantaloni con un’acuminata punta di ferro.
— Accidenti! — esclamò, rientrando nella realtà.
Un lungo sette vicino alla tasca di destra, un sette infantile e fuori luogo.
— Adesso li sentirai a casa, i tuoi!
Monatti era proprio insopportabile.
* * *
Quando ebbe richiuso piano piano il portone dietro le sue spalle Baccarini pensò ancora una volta, come sempre, ch’è proprio desolante ritornarsene a casa tanto tardi.
— Mi sembra ancora di dover trovare alzata mia madre; povera vecchia! non riusciva ad addormentarsi se prima non era certa che fosse tornato il suo irrequieto Umbertino!
Per le scale un gatto impaurito gli scivolò frusciando vicino alle gambe: e c’era una luce appena possibile e smorta.
— Il cortile, tutti dormono; ma perché al mezzanino, laggiù, quella finestra ancora accesa? Un malato?
Il nottambulo aveva un groppo in gola e ansimava nel salire gli ultimi gradini: « Bisogna far piano, perché Bruna non abbia a svegliarsi ». Aprì la porta del suo appartamento con infinita cautela, e, una volta dentro, gli parve di liberarsi di qualche grosso peccato.
— La notte è propizia per i peccatori — gli suggerì la solita stupida voce interna.
Ma la sua attenzione fu subito attirata da qualche cosa d’insolito; la porta della camera da letto era spalancata, una luce eccessiva brillava ora davanti ai suoi occhi non abituati.
— Bruna — chiamò a mezza voce.
Silenzio.
— Bruna — ripeté ormai a voce alta.
Si precipitò in camera: tutto in ordine, il letto non appariva neanche toccato, il profumo che adoprava sua moglie nell’uscire stagnava nell’aria.
— Bruna. Bruna. Bruna.
Poi, come un primo piano di film, un foglio bianco corse fino al suo sguardo, velocemente: Baccarini senti mancarsi, come se avesse ricevuto una mazzata in capo.
« Devi sapermi perdonare. È meglio che io non ti spieghi nulla. Addio per sempre. Bruna ».
L’uomo s’accasciò sopra una Sedia, paralizzato: avrebbe voluto muoversi, correre, frugare nei cassetti, vendicarsi, uccidere il primo a portata di mano; ma una stanchezza estrema lo teneva invece inchiodato al suo posto di dolore.
— Sì, signori giurati: io ho ucciso mia moglie. Ed era tanto bella, ed era tanto buona, affettuosa, ed io l’amavo tanto... Ma una sera torno a casa e non la trovo più: un biglietto, solamente un biglietto come in tutte le sciocche avventure. La cercai per il mondo, signori, la cercai fino a che... E poi, e poi, con queste mie mani di cui adesso ho un tremendo orrore, così, così, così...
Singhiozzava col capo reclinato sulla sponda del letto, singhiozzava liberandosi di tutte le finzioni sopportate fin dal giorno in cui non era più stato capace d’illudersi ancora: e fu proprio un abbandono necessario, uno sfogo terribile e salutare.
Una mano calda e profumata gli sollevò la fronte e poi la voce, la voce di Bruna:
— Che cosa fai, sciocchino? Non si può dunque più scherzare con lo scioperatissimo marito cattivo?
Si rifugiò tra le braccia della moglie, morbide, accoglienti, tranquillatrici; ma continuava a piangere, sorridendo ora, a scatti mal repressi, a singhiozzi diminuiti di tono.
— Umbertino, Umbertino, mi vuoi tanto bene, allora? Tanto? E ti pareva possibile una cosa simile? Perdonami: forse hai ragione: è uno scherzo brutale.
Ma Baccarini non la capiva bene, la sua tenera mogliettina ritrovata: la stringeva sul cuore, sempre più, sempre più, con la paura tremenda che potesse sfuggirgli davvero, e mormorando: «tanto, tanto: non potrei vivere senza di te » seguitava a piangere trepidamente come un bambino.
Già, proprio come un timido bambino.
Elio Talarico.

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 27.09.33

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Citazione: Elio Talarico, “Giuoco pericoloso,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 17 maggio 2024, https://www.dioramagdp.unito.it/items/show/1231.