Beta!
Passa al contenuto principale

Titolo: I libri della settimana

Autore: Non firmato (Lorenzo Gigli)

Data: 1933-07-05

Identificatore: 1933_311

Testo: I libri della settimana
Via dell’Arancio
Ghelardini, editore di questo nuovo libro di Elio Talarico (Via dell’Arancio - Edizioni d’Italia; Roma. - L. 5), ha chiesto a Bontempelli: « Non ti pare che potrebbero chiamarsi quasi « racconti di cronaca nera » un po' alla maniera di Gidè cronista obbiettivo o magari di Zola del Come si muore?».
Domanda posta a giustificare l'inclusione del libro in una collezione documentaria, accanto ad altre interpretazioni del tempo. Bontempelli risponde con un fin-de-non-recevoir. Non vuole confusioni. Giornalismo è necessità di comunicazione Con un pubblico, in contrapposizione allo scrivere incomunicativo dei letterati: « da questo al dire che il narratore deve fare della cronaca nera, ci corre. L'arte è sempre trasfigurazione... ». Benissimo detto. Se no, si ritorna al vecchio equivoco naturalistico del racconto come documento umano. Ricercheremo dunque anche in questo volume del Talarico (scrittore geniale e torbido che conta al proprio attivo un romanzo come Tatuaggio pieno di linfe vitali, di virtù d'osservazione e d'analisi e assai originalmente impostato) le parti non caduche, a prescindere dal valore « documentario » dei singoli racconti. Senza contare che ad assumerli sul piano del documento il rischio è sempre grosso e l’arbitrio assai facile. Il Talarico è a una svolta della sua strada. Termina con Via dell’Arancio, e col romanzo Dolce far niente che sta per uscire, la sua prima maniera istintiva e desolante (s'avverte questo bisogno d'evasione per esemplo nella chiusa del racconto torbidissimo Disagio ch'è come il congedo al lettore anelante a meno cupi orizzonti). Lo stesso Talarico annuncia il suo nuovo stato di grazia: « Si arriva a un certo momento nella vita in cui, dopo aver sezionato crudelmente i vizi e le inquietudini degli uomini, viene un bisogno dolce e tenero di ricostruzione e di serenità, senza per questo rischiare di apparire, illusi, chè nel mondo c’è del buono, del limpido e del felice, per poco che si volga lo sguardo intorno... ». Se n'era accorto persino Dostoiewskij... Dei cinque racconti che formano il volume del Talarico ci pare soprattutto notevole da un punto di vista strettamente artistico Morte di Rèbora dove è descritta una notte in una clinica e analizzato con molta finezza lo stato d’animo d'un medico che, dopo aver operata una paziente gravissima, si ritira nella sua stanzetta e s'addormenta in preda a una crisi in cui affiorano i sentimenti più schietti genuini e buoni del suo spirito. Anche il racconto Efferato delitto a San Lorenzo (che avevamo già letto quando fu pubblicato nella rivista Occidente) sta a testimoniare della forza nativa del Talarico, scrittore maturo e singolarmente dotato.
Elio Talarico
Uomo del '700

È Ippolito Pindemonte. Questo titolo alla sua biografia. Uomo del ’700 (ed. Emiliano degli Orfini, Genova 1933), è stato scelto da Enrico Emanuelli. Domandarono una volta al giovane scrittore novarese perchè si occupasse tanto d'Ippolito, vivo per il lieve bagaglio di quattro versi (« Melanconia, ninfa gentile... »). arcade col nome di Polidete Melpomenio. La risposta sta sulla soglia di questa biografia:
« Ebbi una volta l'idea di scrivere la vita di un uomo del Settecento. E mi parve che tutte le espressioni tipiche si assommassero, per casi tipici e fortunati, in Ippolito Pindemonte. Narrando la sua vita, la vita cioè di un uomo poeta e ballerino, elegante ed innamorato, dal vivere tranquillo e sereno, avrei narrato una vita tipicamente di quel tempo ». Ecco dichiarati i propositi e i caratteri del libro, che risponde perfettamente al disegno. C'è dentro, sì, Ippolito e i suoi verd’anni e la sua voce che toccò il cuore e la fantasia del Foscolo, ci sono i suoi fantasmi poetici e i suoi sogni preromantici, i suoi successi mondani e amorosi e i suoi intimi tormenti; c’è l’uomo, ma c’è il suo tempo, quella corsa del secolo verso la sua fine, che s’accendeva di bagliori di tragedia e preannunziava il crollo d’una civiltà e l’inizio di una nuova storia. Poeta onesto e gentile, lo dissero forse in virtù di quella famosa quartina. E il Foscolo ne lodò la vita « virilmente modesta ». Non ebbe crisi spirituali, non amori sfortunati, nota l'Emanuelli: ed ecco l'uomo, con però sulle labbra un indecifrabile sorriso che può essere compassione o ironia, o entrambe le cose. Trapassò nel nuovo secolo dopo aver visto il suo precipitare (il Pindemonte morì nel 1828), e dal nuovo clima non si straniò chè anzi il suo nome resta letterariamente legato alla mentalità e allo stile del periodo neoclassico (la sua traduzione dell’Odissea corre ancora per le mani degli studenti). Tutte cose che l’Emanuelli mette a frutto per incorniciare il ritratto dell'uomo nel riquadro del tempo e per esprimere attraverso la biografia del poeta i caratteri dell’epoca. Il taglio è sicuro, gli scorci felici, la mano leggera ed elegante. Dagli elisi, il gentile Ippolito può ringraziare il suo biografo che l’ha fatto uscire dai manuali scolastici, dove ci si sbriga in dieci righe di lui, per rendergli questa testimonianza da uomo a uomo.

Enrico Emanuelli

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 05.07.33

Citazione: Non firmato (Lorenzo Gigli), “I libri della settimana,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 17 maggio 2024, https://www.dioramagdp.unito.it/items/show/1121.