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Titolo: Sentimento del tempo

Autore: Lorenzo Gigli

Data: 1933-06-07

Identificatore: 1933_269

Testo: Sentimento del tempo
L’opera lirica dell’Ungaretti non è di quelle che, dopo un conquistato riconoscimento, possano temere le offese del tempo e delle mode che passano: la resistenza non è di tre anni, di cinque anni, di dieci anni; piaccia o non piaccia, l’opera dell’Ungaretti è la realizzazione della poesia pura: «liricità, développement d’une exclamation », concludeva il Capasso un suo «incontro» ungarettiano. Su questo punto fondamentale siam tutti concordi quanti (pochi) da qualche anno andiamo additando in Giuseppe Ungaretti un mirabile e commovente esempio di fede che paga di persona. Egli stesso ha chiesto che si riconosca una buona volta che « la forma lo tormenta solo perché la esige aderente alle variazioni del suo animo; e se qualche progresso ha fatto come artista, vorrebbe che indicasse anche qualche perfezione raggiunta come uomo ». Poi ci piace in Ungaretti, accanto alla sua dedizione alla poesia, accanto al suo potere di comunicare con la Natura, di evadere dal tempo e di naufragare coscientemente nell’Universo, la sua maturazione d’« uomo di pena » in mezzo agli avvenimenti straordinari della sua generazione ai quali non è mai stato estraneo. Senza mai negare le necessità universali della poesia, egli ha sempre pensato che « per lasciarsi immaginare, l’universalità si accorda con la voce personale del poeta nelle proporzioni dei propri tempi... » (nella Notizia premessa all’edizione di Allegria, 1931). Anche quando sviluppa motivi strettamente autobiografici, ritorna sul passato e si afferra ai ricordi, il valore evocativo delle « frondose apostrofi » ungarettiane è altissimo. Si veda nel gruppo del Porto sepolto la lirica In memoria che si chiude con l’indimenticabile congedo sulle soglie dell’eterno:
E forse io solo so ancora che visse.
E si vedano le poesie di guerra: prima di ogni altra I fiumi dove veramente il poeta riesce ad accordare l’universalità della guerra con la sua voce personale «nelle proporzioni dei propri tempi »; e adesso queste del volume edito dal Vallecchi (Sentimento del tempo) contenente le liriche dal ’19 in avanti, come l’Allegria quelle dal ’14 al ’19: v’ha, in questi due libri poetici, la dimostrazione di quanto l’Ungaretti ha fatto in un ventennio per la nuova poesia italiana. Salutiamo Sentimento del tempo come una data che conterà nella storia letteraria di domani, quando, snebbiati troppi pregiudizi, apparirà chiara l’importanza dello sforzo ostinato e disperato di Giuseppe Ungaretti. La nuova raccolta ripropone, nei confronti d’Ungaretti, la validità dell’equazione poeta = uomo di pena, cioè del poeta e dell’immediatezza della sua poesia intesa come essenzialità lirica, i cui valori spirituali ed evocativi ognuno può controllare nei canti di Sentimento del tempo, soprattutto in quelli che col titolo d’Inni isolano il poeta e lo mettono a tu per tu con la sua nuda umanità in un clima mitico, in una solitudine fasciata di silenzi millenari e in atmosfere primitive straordinariamente pure, dove la poesia ungarettiana ci solleva senza sforzo e ci ambienta senza che dobbiamo provare la vertigine delle altezze. E qui conviene indicare alcuni punti di riferimento per l’identificazione di codesta felicità ungarettiana alla concentrazione e alla evocazione, a realizzare cioè condizioni di innocenza e di purezza native che restituiscono al sentimento e al tono, alla parola e al ritmo, all’immagine e al verso, il loro significato originario e il loro valore essenziale garantendoli contro ogni pericolo di meccanicità e di rettorica. La Preghiera (Come dolce prima dell’uomo - doveva andare il mondo... ), la Pietà (Sono un uomo ferito... ), i due canti de La morte meditata, l’Inno alla Morte sono esempi dell’essenzialità ungarettiana che giungono al cuore anche del lettore più semplice in virtù della forza evocativa. « Di alcune aperture di canto — avverte il Gargiulo nella prefazione — si poté dire che ci affidiamo ad esse con l’impressione di respirare, a tale altezza insolita, quasi col nostro respiro normale ». La riprova potrebb’essere la lettura, in un’assemblea di umili, d’una lirica come La Madre la cui grandiosità religiosa trova rispondenza in un paesaggio da giudizio universale. « Apertura di canto » che introduce subito fra attori straordinari sotto cieli apocalittici, e dove basta un verso a restituire al mistero della morte il suo significato umano:
E il cuore quando d'un battito avrà fatto cadere il muro d'ombra, per condurmi, Madre, sino al Signore, come una volta mi darai la mano...
O anche la lettura della lirica Il Capitano che fa parte del Sentimento del tempo e che il Diorama pubblicò alcuni mesi or sono: lirica altissima di contenuto e di tono, dove parallelamente al mito si sviluppano, consegnati al breve respiro di alcuni corsivi, il motivo del controllo diretto, della testimonianza, il dato biografico e diaristico, il ricordo visivo. Una vita che si risolve in martirio, una morte da cui la carne e lo spirito passano alla diffusione cosmica. Il brivido di Ungaretti è sempre un brivido religioso, la sua aspirazione è sempre all’extratemporale.
A definire la sostanza della poesia d’Ungaretti il Capasso crede opportuno nei citati Incontri (ed. E. degli Orfini, Genova) tracciare uno schema ideale dello svolgimento di quest’arte verso forme sempre più complesse. Non si tratta, beninteso, d’un documento di volume materiale, ma « di quella ricchezza intima che si chiama intensità e che distingue la grande poesia, anche Se sia in quattro versi, dal frammento incompiuto ». Punto, come ognun vede, sostanziale da opporre a qualche critico in buona fede e a molti denigratori in mala fede, le cui obbiezioni ad Ungaretti muovono dal luogo comune del rappreso e del gelido come conquiste forzate d’uno stile poetico volutamente allusivo ed ermetico. Invece il linguaggio d’Ungaretti è costantemente semplice, alieno dai termini intellettualistici. Per talune delle composizioni ungarettiane di pochi versi il Capasso usa la parola giapponese haikai messa in onore da Elpidio Jenco (qualche esempio ne ha offerto anche il nostro Diorama). Haikai: « inteso come laconica notazione descrittiva su cui un velo di lirismo oscilla ». È una forma primitiva di lirica, che tende a cogliere un momento caducissimo di gioia della naturalità. La conoscevano anche gli antichi, e la chiamavano epigramma. Il classicismo ungarettiano ci par più vicino al senso etimologico e letterale dì questa parola che non al carattere impressionistico del componimento giapponese. Ma la definizione aiuta comunque a cogliere il senso profondo e il sottile tremore dell’estasi del poeta che sottintende la sua complessità d’uomo religioso.
Lorenzo Gigli.

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 07.06.33

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Citazione: Lorenzo Gigli, “Sentimento del tempo,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 17 maggio 2024, https://www.dioramagdp.unito.it/items/show/1079.